Dal pianeta degli umani

di Giovanni Cioni

Tra documentario, fiaba e racconto onirico, Cioni incrocia la realtà drammatica dei migranti con le utopie dell'Occidente alla ricerca della giovinezza eterna

Dal pianeta degli umani, recensione Point Blank

Il cinema di Giovanni Cioni è un cinema di sogno. Non metaforicamente, perché evoca l’irraggiungibile, ma in senso più letterale: perché affastella, incrocia e sovrappone immaginari e sensazioni, perché trova nessi e consonanze segrete nel casuale e nell’incongruente, perché attraverso una selva di segni, suggestioni e tracce ci guida sempre, immancabilmente, verso la realtà, spesso cruda e dolorosa da metabolizzare. Come certi sogni, è un cinema sfaldato e dolce, misterioso, abitato a volte da fantasmi, difficile da “catturare” eppure così pervasivo e insistente nel suo imprimersi nella mente di chi, affascinato, lo osserva.

Dal pianeta degli umani – presentato a Locarno, premiato al Festival dei Popoli e al Trieste Film Festival – è un’indagine poetica sul nostro rapporto con la morte, sul nostro bisogno ossessivo di negarla ma anche sulla nostra inammissibile capacità di ignorarla quando riguarda l’altro – l’altro che viene da oltre il confine, l’altro che non parla la nostra lingua, l’altro che nel nostro orizzonte non esiste mai davvero (e quindi è già morto?).
Cioni, come altre volte nel suo percorso cinematografico, muove e fonda la sua riflessione a partire da un luogo chiave, luogo che stavolta condensa utopie smisurate, speranza e tragedia: la frontiera italo-francese tra Ventimiglia e Mentone. Qui, tra le rocce, nella foresta a picco sul mare, ci sono Il sentiero della morte e quello del paradiso, percorsi dai migranti che alle spalle si sono lasciati stracci, bottiglie di plastica, miraggi e illusioni, e hanno varcato (non tutti) il confine spinti dall’onda potente della disperazione. Prima di loro, ci dice la voce narrante del regista (quasi una nenia, un sottofondo sonoro che ci accompagna in questa indagine visionaria ) proprio qui sono passati ebrei in fuga dal regime: ieri, oggi, ora e sempre, il tempo si ingarbuglia, si ripete, si sospende, si disgrega.

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Ancora qui, su questo tratto di costa pietrosa, si infrange però anche un altro sogno inesauribile: la chimera dell’eterna giovinezza nelle ricerche (folli?) di Serge Voronoff, scienziato che negli anni ‘20 allevava scimmie – lo testimoniano ancora le gabbie in bella vista sulle rocce – per trapiantarne le gonadi sugli esseri umani, per restituire loro forza e vigore perduti. Vivere, sopravvivere, vivere ancora, vivere più a lungo: nell’apparente distanza – di contesto, orizzonte, filosofia – due desideri diversi si compenetrano e si richiamano.
Il Castello Voronoff, con i suoi giardini affacciati sull’azzurro del mare, accoglie ora i passi e lo sguardo del regista che, quasi come ne Le mille e una notte, inanella una fiaba dentro l’altra, un film dentro l’altro (King Kong, Cabiria), una realtà dentro l’altra - i migranti del presente e i bagnanti del passato, nelle immagini d’archivio sfarfallanti e soleggiate di un lungomare favoloso e perduto. Anche il Fascismo, dopotutto, non è altro che fiaba, perché è una fiaba quella che racconta: “il crimine e la misera sono aboliti, la donna è abolita (…), il reale è abolito”. Del resto, il Mussolini accigliato che ci parla da un filmato virato in seppia, nell’assurdità violenta e cieca del suo progetto megalomane, è forse più credibile del Dottor Voronoff? Ma la storia ingurgita tutto e Voronoff – ebreo – fuggirà in Svizzera; i suoi fratelli verranno deportati ad Auschwitz e la splendida villa sarà confiscata. La giovinezza senza fine, il colonialismo, sono ora frammenti di immagini di fantasticherie vanagloriose, che si sgretolano in fretta e rovinosamente.

Nei luoghi, nei suoni, nel silenzio, nella luce, nelle immagini che citano altre immagini il regista trova un filo rosso che segue, incuriosito, in un personalissimo diario che è seduzione visiva e parola recitata in un sussurro. In questo film meravigliosamente anarchico, dove anche le rane parlano, Cioni si muove magicamente dentro e fuori il reale sovrapponendo il proprio sguardo, a tratti, a quello di un alieno dell’era post-umana e ci mostra che questo pianeta è abitato da una specie forse crudele ma in ultimo fragilissima, condannata al sogno e al desiderio, e soprattutto destinata a restare imprigionata per sempre nello scarto incolmabile tra utopia e realtà.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 18/02/2022
Italia, 2021
Durata: 83 minuti

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