Giallo

Dopo l’amara delusione di non aver visto la luce nelle sale cinematografiche, il “nuovo” film girato dal regista del terrore Dario Argento rischia di non nascere nemmeno in direct to home-video; difatti, stando alle ultime notizie, il protagonista del film, Adrien Brody, vorrebbe bloccarne la distribuzione finché la produzione non gli pagherà il compenso “promesso” – compenso che, a detta del noto attore, ancora non è stato saldato. La maledizione di Giallo continua quindi costante e instancabile dopo oltre due anni dall’inizio delle sue riprese: girato nell’estate del 2008, l’opera di Argento avrebbe dovuto essere presentata al pubblico lo scorso anno, tuttavia per vari problemi di produzione la distribuzione non venne effettuata, e Giallo rimase legato a passaggi festivalieri in vari paesi europei e non, che, a loro volta, non manifestarono interesse per l’acquisto del prodotto. Questa diatriba, e il percorso del film, facevano quindi nascere delle perplessità sulla validità effettiva dell’opera, tuttavia, la presenza di un premio Oscar quale Adrien Brody (vincitore della statuetta per Il pianista di Polanski) nel ruolo di protagonista, e il “buon nome” (ormai in netta discesa) di Dario Argento, spargevano un po’ di speranza per quello che poi alla fine si poteva rivelare un prodotto di qualità. Tuttavia la qualità in questo film è davvero rara, così come le idee in esso contenute, purtroppo, diciamolo, palesemente povere.

Come si evince dal titolo, Giallo è a tutti gli effetti un thriller, e la trama, molto semplice, è imperniata sulla figura di un misterioso tassista sadico, il quale rapisce donne bellissime seviziandole e sottoponendole a orrende torture, spinto da un suo personale disprezzo per la bellezza. Sulle tracce di questo pericoloso serial killer indaga un certo “lupo solitario”, l’ispettore Enzo Avolfi (Adrien Brody), un tipo taciturno e schivo che non ama la compagnia, ma che, ben presto, dovrà condividere le sue indagini con Linda (Emanuelle Seigner), la sorella di Celine (Elsa Pataky), ovvero l’ultima vittima rapita dal killer.

Alla luce degli avvenimenti cominciano quindi le indagini del’ispettore, ed è qui che iniziamo a renderci conto che il maestro del brivido comincia a “perdere colpi”; il ritmo del film e delle stesse indagini è per la maggiore lento e privo di un guizzo, una trovata, che ridia colore alla trama – l’ispettore cerca e indaga in modo ortodosso e lineare, burocratico , rendendo l’equilibrio del film statico, poco dinamico; la risoluzione del caso arriva pian piano, gradualmente, senza ipotesi, rivelazioni o colpi geniali di sorta, e tutto ciò rende l’intreccio di questo “thriller” più vicino a un giallo televisivo che a una produzione per il grande schermo. La rara qualità, citata poc’anzi, la si ritrova in quelle poche scene, tipiche di Argento, che approfondiscono i traumi psicologici che i protagonisti subiscono nel passato, più precisamente nell’infanzia, o in giovane età. Dalle precedenti esperienze cinematografiche di Argento, tra i quali Il cartaio e La terza madre, è ormai opinione comune che al regista sia rimasto veramente poco da dire al cinema, almeno per quanto riguarda quella branca in cui era maestro nel passato, il terrore. Invece, nella prima inquadratura di Giallo ci troviamo in un grande teatro, e, questo, ci rimanda per un momento al capolavoro indiscusso del regista, Profondo rosso, quasi ricreando quell’atmosfera, e alimentando così delle aspettative che verranno però poi amaramente deluse; Giallo è infatti ben lontano da quei livelli di intuizione e spicco registico e rimane un opera sensibilmente più piatta, banale e meno accattivante, confermando quindi la tesi del declino del regista. Durante la visione del film ci si accorge di star aspettando qualcosa, quel colpo di scena, quella rivelazione che invece non arriva; salvo alcune sequenze, è assente quell’ansia perenne che caratterizzava i film di Dario Argento – sono presenti delle scene di tortura, in puro stile splatter e molto pesanti, ma non è mai stata l’ostentazione il pregio dei film di Argento, quanto invece le sottili psicologie e i sapienti espedienti usati per rappresentare la paura e la sensazione del dolore.

Di questi espedienti ne troviamo traccia anche in questa pellicola, nella scena in cui, l’assassino, per non precipitare, si aggrappa a una struttura metallica irta di vetri rotti, ferendosi sempre più a fondo le mani per non mollare la presa… in questa scena percepiamo e “sentiamo” il dolore così come lo si sente in quella scena di Profondo rosso in cui l’assassino scaraventa la bocca della vittima sullo spigolo del camino fracassandogli i denti; e non è sangue e mutilazione a fare effetto, quanto invece il “conoscere” quel dolore, quasi provarlo, poiché il dolore ai denti è un esperienza provata nella vita, così come lo è il tagliarsi. La mano del grande regista è, quindi, diciamolo, alquanto debole, e abbandona questa pellicola nella mediocrità; mediocrità che è causa, in ultimo, della mancata nascita di Giallo nelle sale cinematografiche.

Autore: Giacomo De Vecchis
Pubblicato il 16/08/2014

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