Brightburn - L'angelo del male

di David Yarovesky

In pausa dalla Marvel, James Gunn produce questo ritorno alla satira del superomismo. Ma il Superman malvagio di David Yarovesky è un'idea senza un film.

Brightburn - Recensione film Yarovesky

Per i pochi che hanno avuto modo di seguire la storia dietro Brightburn - L'angelo del male, il risultato ora in sala non può che considerarsi una delusione. Presentandosi come generico horror low cost con appena qualche spolverata di rimandi all'universo nerd, il film si fa un favore: questo è, nulla di più, un prodotto assolutamente sotto media e non particolarmente degno di attenzione. Senza la minima forza né voglia di scardinare quelle regole e quei tabù che l'etichetta di b-movie pure gli concederebbe. E già questo lo rende antipatico. In realtà, visto il il patrocinio convinto del clan Gunn (la star James in produzione, i parenti Mark e Brian in scrittura, il tuttofare David Yarovesky in regia), l'ambiente creativo da cui tale gruppo muove, e la complicatissima vicenda che nell'ultimo anno ha portato il regista dei Guardiani Marvel a trovarsi esiliato (e poi reintegrato) dal kafkiano macchinario degli studi Disney... tutti questi elementi avevano, nella mente del pubblico, caricato Brightburn di un'aura da provocazione autoriale, di parodia critica e desacralizzazione-Troma definitiva del genere supereroistico.
Nulla del genere. Brightburn è tutt'altro, o meglio, pochissimo altro. Una serie di fattori complottano contro le aspettative dello spettatore, che minuto dopo minuto dovrà arrendersi e smettere di augurarsi il guizzo. I soldi sono pochi, l'ambizione è nulla, la codardia molta. E possiamo solo immaginare il clima in cui il film è stato girato (la scorsa primavera, periodo in cui James Gunn perse il suo lavoro alla Marvel a causa di alcuni tweet risalenti al suo periodo di umorista alla corte di Lloyd Kaufman), decisamente il meno adatto a una produzione spensierata.

La storia di Brightburn- L'angelo del male, già ampiamente sbandierata (si tratta pur sempre dell'unico, assai poco fantasioso selling point), si riduce ad un pigrissimo what if: e se Superman fosse stato cattivo? Dunque, una cometa spedisce sulla fattoria della coppia di hillbilly Tori (Eizabeth Banks) e Kyle Breyer (David Denman) quella che pare proprio una navicella spaziale. All'interno, un bambino: il piccolo Brendon (Jackson Dunn), che sarà adottato e cresciuto dai due contadini. Ma quando, una volta raggiunta l'adolescenza, Brendon scoprirà di possedere poteri superumani, non li adotterà per proteggere l'umanità. Il ruolo di salvatore cristologico non gli si addice. E la mente del problematico ragazzino partorirà piani ben peggiori.

Brightburn prende il suo spunto, se non esattamente sconvolgente, quanto meno stuzzicante, e decide di sacrificarlo sull'altare di un mesto e sciattissimo grigiore. Come se l'angosciata vita personale del suo produttore avesse indirettamente influenzato la deprimente messa in scena degli autori. Brightburn non ha colore, non ha calore, non ha umorismo né violenza: i jump scares sonori sono la sua unica arma, gli effetti digitali brutti il massimo della creatività. Nella contorta pubertà del giovane supereroe, sballottato da tempeste ormonali frustrate, bullismo e complessi edipici irrisolti, c'erano tutti gli estremi per aspettarsi una determinata serie di componenti (splatter, violenza, un po' di beata anarchia). Il film invece sembra non pensato, abbozzato e lasciato lì: solo l'ennesimo rigurgito Omen-iano del pallido bambino malefico, con qualche posticcio rimando all'universo comic (il protagonista con il nome allitterato, l'ambiente scolastico, la costruzione dell'identità...) appiccicato sopra senza che la cosa si traduca in un discorso di alcun tipo.

Se le suggestioni horror di Brightburn - L'angelo del male si limitano a riproporre un canovaccio registico già masticato, è proprio la maniera in cui la struttura supereoistica viene impiegata a far venire il nervoso. Al netto di una generica povertà della produzione che mina in partenza qualunque aspettativa di grandeur (ma allora perché impuntarsi su dei superpoteri così complicati da rendere visivamente, come il volo e la superforza?), è proprio il revisionismo alla base ad apparire fuori dal tempo. L'origin story "realistica" di un supereroe tormentato che si riscopre malvagio appartiene all'immaginario cinematografico da decenni (Akira...), è già passata attraverso la ricontestualizzazione postmoderna (Chronicle), e persino nella parodia esplicita (Kick-Ass); per non parlare dell'universo fumettistico, dove soprattutto in casa DC il ribaltamento delle dinamiche eroe-villain è un serbatoio di spunti sfruttato all'inverosimile. Fa strano che proprio il presunto genio maledetto di questo sottogenere decida di presentarsi, nel 2019, nell'era di Endgame e del commiato di un'Epica ormai al canto del cigno, con una satira così vecchia, e così spenta. Magari dieci anni fa. O magari mai.

Autore: Saverio Felici
Pubblicato il 23/05/2019
USA 2019
Durata: 90 minuti

Ultimi della categoria