The Counselor - Il procuratore

Actions have consequences

La figura dello sceneggiatore cinematografico è, per antonomasia, un tantino bistrattata – si pensi allo sciopero degli screenwriters, al fine di rivendicare i loro diritti, che mandò seriamente in crisi la produzione hollywoodiana tra il 2007 e il 2008 – sorta di ombra nascosta dietro al regista-demiurgo: quando, ad esempio, si chiede di nominare dieci grandi cineasti le risposte fioccano immediate e fluide, ma se la domanda riguardasse i nomi di coloro che si occupano della stesura del testo dell’opera filmica, allora ci si troverebbe di fronte a silenzi imbarazzanti, oppure a nomi di registi/sceneggiatori. Inutile sottolineare l’importanza che lo script riveste all’interno della costruzione dell’elemento-film, essendone la vera e propria spina dorsale: pellicole visivamente affascinanti, ma con plot deboli, vengono inevitabilmente percepite come malriuscite. Lo screenwriter, tuttavia, sale prepotentemente alla ribalta in caso si tratti di penna già famosa, scrittore o giornalista, al punto da soverchiare anche l’artefice del visivo. Cormac McCarthy, nato nel 1933 a Providence, Rhode Island (città prodiga di talenti, quasi inutile citare “il solitario”) è considerato uno dei più influenti scrittori contemporanei, vincitore del Pulitzer per la narrativa nel 2007 con lo splendido La strada.

L’attesa intorno a The Counselor – Il procuratore, presentato in anteprima al Noir In Festival di Courmayeur lo scorso Dicembre, è stata alimentata dalla summa di un numero di fattori: la regia di Ridley Scott, nuovamente alle prese con un noir dopo il flop al box office del pregevole e sottovalutato American Gangster (2007), e in seguito al discusso Prometheus (2012), e un cast da far tremare i polsi. Michael Fassbender, Javier Bardem, Penélope Cruz, Cameron Diaz e Brad Pitt, senza dimenticare il grande Bruno Ganz in un ruolo minore (il commerciante di diamanti ad Amsterdam) e il cameo non accreditato di John Leguizamo: quanto basta per renderlo uno dei film più attesi della stagione. Ma il vero punto di forza va oltre le star e un grande seppur discontinuo regista: The Counselor è, per tutti, “la prima sceneggiatura originale scritta da Cormac McCarthy”, dunque la parola, in questo caso, viene ancor prima dell’immagine. In realtà il romanziere statunitense aveva già realizzato uno script ex-novo, The Gardener’s Son, nel 1977 (pubblicato dalla Ecco Press nel 1996), a beneficio però del mezzo televisivo e non cinematografico, episodio di due ore per la serie televisiva Visions; circa la metà dei suoi romanzi sono stati portati sullo schermo, da Non è un paese per vecchi (di Joel e Ethan Coen, 2007, sempre con Bardem) a The Road di John Hillcoat (2009). Si era dunque giustamente impazienti a fronte di questo “esordio” nello screenwriting ad hoc per un film che vede l’autore anche tra i produttori.

Il risultato non era del tutto prevedibile: ci si trova di fronte a un film dai dialoghi eccelsi, evidente frutto di una penna illuminata, in un plot tutto sommato tradizionale, ben congegnato, tuttavia avaro di sorprese e assai poco filmico. Lo script originale è stato soggetto a modifiche, lasciando fuori una decina di punti fondamentali, la cui esclusione non è stata idea saggia. Uno snodo classico per un vero e proprio “racconto morale” in cui il monito è al centro della narrazione e i personaggi sono rappresentazioni di tòpoi classici del genere noir: la storia del “procuratore” che non viene mai chiamato con un nome proprio, interpretato da un Fassbender un po’ troppo rigido, è una sorta di apologo sulla concatenazione di “azioni e conseguenze”, per usare le parole del boss del narcotraffico (Rubén Blades) che cita il poeta Machado al telefono col protagonista, nel portarlo a realizzare che la situazione in cui si trova l’ha creata lui stesso e che il momento del “crocevia della scelta” è già trascorso. Le convenzioni della struttura del “viaggio dell’eroe” sono presenti in forma intelligentemente destrutturata: mentore, antagonista e guardiano della soglia sono in realtà non uno ma più personaggi che ricoprono i tre ruoli al tempo stesso. Il procuratore accetta la proposta di Reiner (un grande Bardem), nel partecipare a un affare di droga tra Colombia, Messico e USA, per rimpolpare finanze già laute e sposare la fidanzata Laura, una Cruz in un ruolo poco sviluppato. Intermediario del losco affare è Westray (Brad Pitt in una delle sue interpretazioni più brillanti), anch’egli, come lo stesso Reiner, personaggio ammonitore nell’illustrare i pericoli dell’ “andare a letto” con i cartelli del narcotraffico colombiano. Il procuratore, impassibile seppur nervoso, accetta di proseguire. La figura destabilizzante è rappresentata da Malkina (una conturbante Cameron Diaz), compagna di Reiner e temuta dall’uomo, che ammette di amarla di un “sentimento mortifero”. La Morte: l’aurea di Thanatos è l’ombra che si staglia sul bruciante sole messicano, su personaggi già condannati in partenza e sul film stesso, dedicato a Tony Scott, la cui morte causò una doverosa interruzione delle riprese.

Sottolineato da uno score “chicano” a opera di Daniel Pemberton e con una fotografia fascinosa firmata da Dariusz Wolski (SweeneyTodd, Prometheus), The Counselor – Il procuratore risulta, alla resa dei conti, opera troppo piatta per riuscire a convincere, in cui la regia di Scott è standardizzata, ottimo mestierante che scommette tutto sulla solidità della storia e dirige quasi per inerzia. Il lavoro di McCarthy, per quanto assolutamente pregevole, è come se non fosse ben sincronizzato con il visivo, in quanto molto letterario e poco cinematografico: un rischio sempre presente in casi come questo, (il “monito” questa volta va rivolto allo spettatore), non sufficiente però a colmare quella che si rivela essere una delusione, inaspettata ma, al tempo stesso, in parte prevedibile.

Autore: Chiara Pani
Pubblicato il 16/08/2014

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