La paranza dei bambini

di Claudio Giovannesi

Una banda di ragazzi e una transizione irrevocabile verso l'età adulta e la colpevolezza

La paranza dei bambini – recensione film Giovannesi

I cosiddetti bambini de La paranza dei bambini sono sulla soglia dell’età adulta, sul punto di un cambiamento irrevocabile. Nicola (Francesco Di Napoli), Lollipop, Biscottino e gli altri vivono in un limbo di periferia, piccoli teppisti il cui disorientamento è il segno di una sconfitta civile, genitoriale, sociale. Affamati di vita e di soldi, colgono la prima occasione per entrare nel mondo del crimine come piccoli spacciatori. Ma vogliono di più, sempre di più. Il prezzo da pagare, in termini personali e morali, è altissimo.

Dopo Alì ha gli occhi azzurri e Fiore, Claudio Giovannesi riprende la sua incursione nella psiche e nelle emozioni della gioventù, mettendone in scena la forza selvaggia e sincera. Adattando l'omonimo libro di Roberto Saviano, il regista si concentra su ciò che è più in sintonia con la sua idea di cinema: un cinema di corpi e di quieti pedinamenti, sobrio e trattenuto, e per questo tremendamente coinvolgente nei suoi momenti di esplosione e rottura. In equilibrio elegante tra cinema di genere e sguardo da documentarista, La paranza dei bambini mette a fuoco una trasformazione in corso attraverso riti di iniziazione, porte che si aprono, amori e gerarchie famigliari che si ribaltano. La violenza, naturalmente, non manca, ma l’unicità dello sguardo del regista è valorizzata da altri momenti e altre scene: la quiete di una colazione con il fratellino e la lotta per l’ultima crostatina, il momento di dolore successivo al primo omicidio, lo sguardo di una madre impotente. Tappe obbligate di una tragedia già scritta: ogni senso di vittoria sembra effimero e tremendamente ingenuo, e allo spettatore resta negli occhi la consapevolezza che il futuro di Nicola sia ineluttabilmente segnato.

La paranza dei bambini è una parabola criminale in minuscolo. Giovannesi mette in scena l’ascesa di una banda di ragazzini all’interno di un diorama sociale dove il crimine è una carriera, un “mestiere” in grado di elevare dal livello della strada, tanto quanto il mondo dello spettacolo di cui si nutre. Il mito avvelenato della camorra è un abisso da cui attingere per alimentare un immaginario prosciugato, e la camera indugia a lungo sugli oggetti e i luoghi di rito di questa criminalità telegenica e parassitaria, che tutto riduce a superficie, patina estetica: le magliette alla moda, luccicanti, o i morbiti tessuti del teatro San Carlo. I personaggi di questa storia aspirano al potere, ai marchi costosi, all’ingresso in discoteca come rito di passaggio per entrare nell’età adulta. I soldi e le armi sono antidoti per un senso di sconfitta e di miseria che si insinua anche nella messa in scena: tutto, nella Napoli di Giovannesi, incombe e si chiude sui ragazzi, dai palazzi ai vicoli, fino i corpi degli adulti e dei nemici. Nicola arriva a proporre alla sua ragazza di scappare via da Napoli e dalla metropoli, ma anche la sua fuga è una fantasia posticcia, tanto quanto lo spot pubblicitario di una festa perenne sulla spiaggia.

Il confronto con Gomorra parrebbe inevitabile ed è, tutto sommato, giustificato: Giovannesi è coinvolto nella regia della serie televisiva ed è indubbia una certa affinità stilistica e tematica, oltre che di ambientazione. In un certo senso, La paranza dei bambini è uno spin-off di Gomorra che abbandona alcune logiche di genere più vicine all’epica criminale hollywoodiana in favore di uno sguardo intimo sulla giovinezza criminale: ragazzi catturati nell’esatto momento in cui diventano colpevoli e, dunque, adulti loro malgrado. Giovannesi osserva da vicino, cattura le tempeste emotive e la durezza delle scelte, evitando (saggiamente) di sprecare minuti e risorse in un intreccio troppo complesso per puntare su ciò che rende La paranza unico e distinto da Gomorra e altre produzioni di genere. Purtroppo, sotto l’aspetto stilistico questa logica non  è stata rispettata fino in fondo: la fotografia di Daniele Ciprì sembra troppo algida ed elegante per valorizzare lo sguardo del regista, preferendo le tinte di un romanzo criminale qualsiasi.

Al di là di qualche incertezza stilistica, La paranza è un’opera tra le più riuscite del panorama italiano recente e un adattamento impeccabile del libro di Roberto Saviano. Risulta quasi impossibile immaginare un altro nome alla regia di un film come questo: è il segno che Giovannesi è un autore ormai maturo e un nome imprescindibile del cinema italiano.

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 19/03/2019

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