Bellissima - Brevi note sul cortometraggio e intervista al regista

Incontro con Alessandro Capitani, il giovane regista vincitore per il miglior cortometraggio ai David 2016

Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo.

Forse più che salvare il mondo ci salverà dalle piccole bruttezze quotidiane. Bellissima, il corto di Alessandro Capitani fresco di vittoria al David di Donatello, risponde proprio a quest’esigenza: la necessità ostentata ed evidente di togliere dal mondo gli orrori del qualunquismo e regalare, con la lievità di una favola metropolitana, un sorriso spontaneo e riconciliante con il mondo.

Immaginate un dialogo fra due sconosciuti nel bagno di una discoteca nel Napoletano. Di qua, lui (Emanuele Vicorito), belloccio e malandrino in cerca di una preda per il sabato sera; di là lei (Giusy Lodi), piangente e fuori da ogni canone di bellezza. Attraverso il fascino delle voci, i due instaurano un dialogo fra la parete divisoria del bagno, un rapporto che dovrebbe inevitabilmente culminare con l’uscire fuori e il “mostrarsi” all’altro. Sorpresa, tenerezza e ansia si rincorrono in questi 11 minuti di pellicola, confezionata con estrema delicatezza e attenta capacità descrittiva. Fra giochi di luce e prospettiva, fra iperrealismo fotografico e realismo linguistico, fra parole dette e trattenute, con il cuore in gola e gli occhi ardenti di desiderio, questi pochi minuti condensano due problematiche dei nostri tempi: l’apparire e l’accettarsi. Così anche nel bagno di una discoteca è possibile che si manifesti la bellezza più pura, nella forma di un sorriso o di una parola di conforto. Un bagno di un locale, nonostante la sua freddezza e repulsione, può trasformarsi in un luogo magico, dove grazie alla ripetizione di un mantra ci si trasforma per sfuggire da se stessi e per essere finalmente se stessi. Crolla il muro, si aprono le porte e tutto attorno svanisce, la magia ha avuto i suoi effetti. Anche nell’acqua più torbida, può sbocciare un bellissimo fiore.

Come è nata l’idea del dialogo nel bagno?

Una volta stavo girando una pubblicità e nel bagno ho sentito un rumore assordante dall’altra parte della parete. Quindi ho iniziato a parlare con la persona dall’altra parte, e questo mi ha fatto pensare alla possibilità di trarne una storia. Magari poi la storia poteva essere fra un lui e una lei. Il meccanismo praticamente è lo stesso delle chat, dove ti parli ma non ti conosci, non ti vedi. Siamo tutti al computer con le nostre foto del profilo, stile Catfish, e ci rappresentiamo per come vorremmo essere. E lì funziona esattamente così. Le pareti del bagno sono come il monitor di un computer, solo che nel bagno uno poi ha l’obbligo della rivelazione. E che fai? Ti mostri o non ti mostri? Rimani chiuso nel bagno?

Alessandro nel tuo corto il linguaggio scelto è il dialetto, con tanto di sottotitoli, che ricorda Gomorra e ci rimanda a scelte forti in campo linguistico. Vengono in mente gli attuali Lo chiamavano Jeeg Robot e Veloce come il vento: come mai questa scelta di girare in dialetto e come mai proprio in napoletano?

Il corto è in un napoletano molto comprensibile, anche se ogni tanto i sottotitoli aiutano. La verità è che noi lo avevamo pensato in romanesco, ma veniva una cosa orrenda. Il romanesco non riesce ad essere nobile, e la storia con due personaggi chiusi in bagno che parlavano in romano suonava troppo volgare. Allora abbiamo provato a virarlo in napoletano, e si è trasformato immediatamente. La magia che ti dà il napoletano, quel senso di grandezza e di miseria non te lo dà né un toscano, né un romano. Poi una volta che abbiamo deciso che era ambientato a Napoli, abbiamo aggiunto delle sfumature, come le scritte sui muri e altri dettagli.

Come avete trovato i protagonisti?

Appena scritto il testo, si è presentata la difficoltà di trovare la protagonista. Mi sono arrivate diverse proposte che non andavano bene, perché erano delle ragazze molto sovrappeso ma non proprio obese, e per la storia avevamo pensato ad una ragazza che dovesse avere questo problema fisico del peso in modo molto evidente. Allora ho iniziato a cercare anche tramite dei medici che si occupano di problemi di alimentazione. Cercavo di capire se c’erano dei pazienti adatti al ruolo. Poi ad un certo punto su Facebook, Pina (Pina Turco co-sceneggiatrice n.d.r) nota la foto di una ragazza che secondo lei è perfetta. Abbiamo trovato il numero e l’abbiamo contattata. Ci siamo incontrati e si è subito capito che era lei. Ha degli occhi bellissimi, quel taglio orientale, che ci sembrava perfetto. E’ una ragazza che, nonostante abbia un problema fisico, è molto bella.

La protagonista – Veronica – descrive se stessa secondo un’immagine ideale, secondo il suo canone di bellezza. Anche lui si descrive paragonandosi a Brad Pitt. Visto il tuo percorso che è passato attraverso il documentario Come prima più di prima mi amerò e il cortometraggio La legge di Jennifer, secondo te anche per gli uomini vale la stessa tendenza a desiderare di essere diversi da come si è? C’è la stessa difficoltà nell’accettarsi?

Sì, lui dice di essere più forte di Brad Pitt in Fight Club. Anche il protagonista maschile, a suo modo, si descrive diverso da com’è, ma non tanto fisicamente, quanto piuttosto per quanto riguarda la forza, come se fosse una questione di potenza. In Bellissima il discorso dell’accettarsi non vale per gli uomini, poiché è molto circoscritto alla ragazza. Ne La legge di Jennifer però emerge prepotentemente il fatto che gli uomini si rifanno anche più delle donne e se si parla con un chirurgo si scopre che sono più gli uomini a ricorrere alla chirurgia plastica rispetto alle donne.

Quando lei ripete a sé stessa sei bellissima, sei bellissima è come se stesse recitando un mantra. Sembra una sorta di formula magica.

Sì, possiamo dire che è un mantra attraverso il quale si autoconvince e si trasforma. E’ stato il momento più difficile del corto secondo me, perché bisognava raccontare la presa di coscienza del proprio corpo. Veronica a quel punto ha la consapevolezza che ormai è obbligata ad uscire dal bagno, e che deve dirsi: ‘ok io mi accetto come sono e chi se ne frega di come mi vedono gli altri’.

Dal tuo percorso emerge questo filo rosso del discorso sul corpo. Cosa ti ha spinto ad intraprendere questo tema?

Non c’è un motivo vero, certe volte le cose accadono. Il rapporto con il corpo è una cosa che riguarda tutti. E’ un elemento della quotidianità talmente forte che è la prima cosa che mettiamo in mostra quando usciamo di casa. Era difficile raccontare delle storie che parlassero del rapporto con il corpo. Non sentirsi adatti, non riconoscersi sono emozioni che tutti abbiamo provato, per un naso storto, perché abbiamo pochi capelli. Ecco, mi piaceva raccontare queste storie su un tema che accomuna tutti.

Come descrivi l’esperienza della vittoria del David?

La mattina da Mattarella mi è piaciuto molto perché mi sono reso conto di come questa sia una professione molto seria, e che c’è attenzione in quello che facciamo, ha un valore profondo. Poi ovviamente la cosa più bella è stata prendere il premio!

Autore: Shaila Risolo
Pubblicato il 05/05/2016

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