A Beautiful Day - Intervista con Joaquin Phoenix
Il resoconto dell'incontro con la stampa di Joaquin Phoenix per la presentazione di «A Beautiful Day» di Lynne Ramsay.
Giubbotto nero, maglietta, jeans ed immancabili Converse azzurre, Joaquin Phoenix è tornato a Roma per presentare A Beautiful Day – You Were Never Really Here, con cui ha vinto il Premio per la miglior interpretazione maschile all’ultima edizione del Festival di Cannes.
Nel film Phoenix interpreta il ruolo di Joe, ex marine la cui vita è tormentata dai fantasmi di un passato violento. Oggi si guadagna da vivere liberando delle giovani ragazze dalla schiavitù sessuale. Un giorno il veterano viene contattato da un senatore americano, la cui figlia è stata rapita da una di queste organizzazioni criminali. La richiesta di aiuto lo porterà a contatto con un giro di pedofilia e corruzione che coinvolge le sfere alte della società, una serie di eventi che cambieranno per sempre la sua vita.
Dopo averlo visto al cinema nei ruoli più disparati, incontrare Joaquin Phoenix di presenza non può lasciare indifferenti. Il gorgo profondo dei suoi occhi azzurri persi nel vuoto è in grado di redimere senza troppe difficoltà l’aspetto ormai da uomo di mezza età di uno dei più affascinanti e talentuosi attori della sua generazione. Se al talento si aggiungono le numerose difficoltà che la vita ed il destino hanno riservato all’interprete americano, si è consapevoli di trovarsi di fronte ad un uomo che ha vissuto decine e decine di esistenze. Che sia stato un patricida segnato da un’attrazione incestuosa nei confronti della sorella o un detective privato tra i fumi inebrianti degli anni ’70, il gestore di un locale notturno centro dei loschi traffici della mafia russa o un attore in preda ad una crisi di identità ed in procinto di abbandonare la propria carriera per abbracciare quella di artista di hip-hop, Phoenix ha dato vita a personaggi irrazionali e debordanti come pochi altri, affrontando le più oscure tenebre della notte. Ma, nonostante tutto, he’s still here.
«Per noi spettatori, è come se voi attori foste un po’ membri di famiglia. Siamo sempre abituati a vedervi sul grande schermo ed è come se vi conoscessimo, anche se si tratta, ovviamente, di un luogo comune. Per un attore, è inevitabile entrare a far parte dell’immaginario collettivo. In che modo vivi e gestisci questa scissione tra icona e persona? Quanto è faticoso essere un’immagine e, allo stesso tempo, un comune essere umano?»
«Quando lavoro, mi mantengo concentrato unicamente sul lavoro. La mia vita è totalmente dedita al mio lavoro in quel momento. Faccio tutto in sua funzione, è l’unica cosa a cui penso. Le persone con cui lavoro diventano automaticamente mie amiche. Al contrario, quando sono a casa, penso solo a stare a casa. Porto il cane fuori, gli do da mangiare, faccio le pulizie, mi immergo del tutto nella vita quotidiana. Adoro fare film, per me è qualcosa di davvero importante ma altrettanto lo sono la mia vita privata e le persone a me care. Credo sia necessario apprezzare ciò che si ha. A volte, credo che ci sia il pericolo di mettere il lavoro per primo e dimenticarsi del resto. Mi sembra che questo accada a molti grandi attori che iniziano a vedere la recitazione come una mera professione e niente più. Ho sempre paura che questo possa accadere anche a me. Per questo motivo cerco sempre di bilanciare le due anime, quella professionale e quella privata».
«A questo proposito, in che modo scegli i tuoi ruoli?»
«Non so, davvero. Credo sia un processo molto istintivo. Un po’ come quando ci si innamora. Hai presente quando non stai con nessuno in particolare ma ti immagini come possa essere stare con qualcuno? Riesci a immaginarlo? Poi incontri una persona e pensi: è proprio quella che cercavo! A volte questo sentimento è impossibile da comprendere, avviene tutto molto in fretta. Va così. Quando non sto girando e penso a cosa vorrei fare, si viene a creare questo desiderio. Così, quando ricevo una sceneggiatura, se è quella giusta e se c’è chimica, succede qualcosa e basta».
«C’è un ruolo, nello specifico, che ti piacerebbe interpretare in futuro?»
«Uhm, a dire il vero, non ho un ruolo dei sogni. Tra quelli che ho interpretato, tutti mi hanno colpito anche se in modo diverso. Di alcuni, però, ho ricordi molto più vividi. Credo per via dell’esperienza in sé. Ad esempio, girare con Philip Seymour Hoffman e Paul Thomas Anderson. Questo è stato uno dei momenti più significativi della mia carriera. Sono davvero molto legato a loro e non posso non ripensare a quei momenti con grande trasporto. Spesso il viaggio è più interessante della meta».
«Amo i film di James Gray e credo che la trilogia di I padroni della notte, Two lovers e The immigrant sia davvero maiuscola. Nei tre film interpreti personaggi molto simili tra loro: sono dei fantasmi pieni di sensi di colpa e dal passato oscuro e tormentato. Mi è sembrato che tu sia perfettamente riuscito ad esteriorizzare i tormenti interiori dei personaggi. In che modo avete lavorato su questo aspetto e sull’ambientazione che diventa anche uno specchio del loro mondo interiore? In che modo hai collaborato con regista e direttore della fotografia in relazione a quest’aspetto?»
«James è una persona molto precisa, fa molta attenzione ai dettagli e a quello che possono rivelare sui personaggi e sulle loro esperienze. Spesso si metteva a suonare sul set per creare una certa sintonia in modo tale che l’ambiente influenzasse positivamente l’interpretazione. Si tratta di qualcosa a cui tiene molto e io stesso ho potuto constatare che si tratta di qualcosa che, in effetti, funziona. Per il resto, credo che tu abbia ragione e che gran parte del merito vada ai diversi direttori della fotografia. Ad esempio, reputo Darius Khondji uno dei più grandi dei nostri tempi».
«In molti film da te interpretati torna la musica come leitmotiv. In I’m still here ti trasformi in un artista hip-hop, in Walk the Line interpreti Johnny Cash, in Two Lovers ti scateni in una sequenza di ballo in discoteca, per non parlare dell’incipit de I padroni della notte. Qual è il tuo rapporto con la musica? Suoni qualche strumento?»
«Ho imparato a suonare la chitarra proprio per Walk the Line ma è parecchio che non torno a suonarla, in effetti. Ci stavo pensando l’altro giorno, è proprio buffo: forse è perché sto invecchiando un po’ ma mi sono rattristato pensando a quando ero giovane; avrei comprato un cd con i miei amici, mi sarei seduto con loro e lo avremmo ascoltato tutti insieme. Ogni singola canzone, tutti insieme. Ultimamente mi rendo conto di ascoltare meno musica e, quando la ascolto, ho la sensazione di amare alla follia la musica. Ma è un sentimento totalmente diverso rispetto a quand’ero giovane. Prima non era così semplice procurarsi della musica: all’epoca, venivi a sapere che sarebbe uscito il nuovo cd dei Public Enemy ma dovevi aspettare mesi per averlo e ti precipitavi più volte al negozio dei dischi. Comunque, adoro la musica e tutti i miei fratelli sono musicisti. Mia sorella Rain ha diversi gruppi, è una cantante; mia sorella Liberty ha una band. Cazzo, non riesco a ricordare come si chiami ma fino a ieri hanno suonato e il loro show ha fatto sold-out. Mia sorella Summer è una pianista. Anche io adoravo cantare per strada quando ero piccolo. La musica ha sempre giocato un ruolo fondamentale nella mia vita».
«Chi è il tuo cantante preferito?»
«Beh, che dire. Credo proprio sia John Lennon. Ma adoro anche Bowie. Ho ascoltato certe cose di recente. Poi ci sono molte canzoni pop che è un po’ impossibile non farsi piacere. Ecco, il pop è divertente ma in determinati contesti. Quando ascolto pop, non è che mi tocchi nel profondo o mi colpisca a livello emotivo. Però è anche bello divertirsi ogni tanto».
«Torniamo di nuovo al cinema. Quali sono i tuoi film preferiti?»
«Non saprei. Ho visto Il dottor Stranamore un sacco di volte e anche Il Padrino e Step Brothers. Ci sono quei film che, in qualche modo, se passano dalla tv non riesco a non vedere. Ci sono film di registi come Paul che non puoi non vedere e rivedere. E questa è la cosa più bella: il fatto che un film ti lasci con una sensazione tale da voler sempre ritornare in quel mondo. Ogni volta che rivedi un film del genere provi sempre nuove sensazioni. A volte un film che vedi da bambino lo percepisci in un modo, mentre da adulto sviluppi sensazioni completamente diverse. Ed è straordinario che un film possa darti emozioni così variegate».
«Ultima domanda. Qual è la persona più eroica che tu conosca?»
«Probabilmente mia mamma. Si tratta di una donna incredibile e quello che fa è fantastico. Ha 74 anni e viaggia per il mondo con la sua organizzazione. È davvero una persona eccezionale e cerco sempre di seguirne l’esempio».