American Sniper - L'ultima guerra

Your call” – “Good kill”. Una voce che ronza nel microfono, indicazioni e complimenti che arrivano dal nulla, ordini ad un soldato che rischia di farsi automa atomizzato, isolato sul tetto di un edificio abbandonato o rinchiuso in una scatola di metallo in mezzo al deserto, droni alla mano. American Sniper di Clint Eastwood è davvero l’ultima guerra prima dell’avvento della macchina, l’apice del rapporto simbiotico uomo-fucile prima che il corpo venga rimosso dall’equazione, ridotto ad una mano appoggiata su un joystick. Da qui l’assenza di calore e contatto con quel mondo di reduci già raccontato tra gli altri da Flags of Our Fathers. Lì il racconto si chiudeva su un angolo di pace, il ritorno all’infanzia di soldati bambini lasciati a giocare nell’acqua ferrosa dell’isola di Iwo Jima. Oggi una parentesi simile è impossibile, la guerra travalica ogni confine, entra in casa attraverso i telefoni cellulari prima che le televisioni, e trasforma il talento in condanna, violenza atavica e parte costituente del destino manifesto di una nazione che pare intrappolata nel circolo tracciato da Eastwood, l’educazione alle armi di Chris Kyle da parte del padre e quella che lui a sua volta imporrà al figlio.

Il più grande successo commerciale della carriera di Eastwood, American Sniper, è un film che ancor prima della sua uscita ha iniziato ad essere tirato da una parte e dall’altra, ago di una bilancia politica che pare conoscere solo estremi. Come è successo già con il Pasolini di Abel Ferrara, anche questa volta dedichiamo la nostra copertina mensile ad un film che ha fatto e ancora farà discutere, un film che continua a produrre letture opposte, utilizzato nei peggiori dei casi come grimaldello per smascherare finalmente la fantomatica pochezza di un autore così a lungo sovrastimato. Tuttavia, come già accaduto la volta precedente, non ci interessa in questa sede farci giudici e giuria, non dobbiamo certo difendere o attaccare il film. Più utile è piuttosto sfruttare la distanza temporale intercorsa ormai dalla prima visione per tornare sul racconto di Eastwood con un sguardo il più possibile analitico, per intavolare un dialogo con il film che sia produttivo, aperto, certamente non assertivo.

Da quest’intenzionalità nascono i tre articoli che formano questa prima copertina del nostro 2015. Si inizia con Giulio Casadei, la cui analisi verte sul rapporto simbiotico e alienante tra l’uomo e il suo fucile prima che l’avvento dei droni alteri inevitabilmente la presenza del corpo sul campo di battaglia. Successivamente Vincenzo Tauriello prende di petto la tradizione fordiana e western di cui American Sniper è chiaramente figlio, così da guardare sulla soglia della porta il destino del reduce cowboy. Infine Veronica Vituzzi si concentra sul concetto di fuoricampo, composizione ineludibile dell’immagine sempre e soprattutto quando a guardare è l’occhio dentro ad un mirino.

Buona lettura.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 02/02/2015

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