Nous

di Alice Diop

Bilancio privato e collettivo di una decennale ricerca nel documentario d'inchiesta, Nous inaugura la nuova fase di Alice Diop, definendo la Francia che racconterà

Nous recensione film Diop

Nous è allo stesso tempo il primo film di Alice Diop, e l'atto conclusivo del suo percorso iniziale. Se il successo di Saint Omer a Venezia aprirà, molto probabilmente, un nuovo ciclo nella filmografia dell'autrice, quello raccolto da Noi a Berlino 2020 (e prima ancora al Cinéma du Reel dello stesso anno) fu la necessaria chiusura di un cerchio decennale, sviluppato relativamente sottotraccia, esplorando le più disparate vie espressive del documentario d'inchiesta. Un percorso che avrebbe trovato compimento nel primo lungometraggio della regista, sintesi definitiva dei vari linguaggi sperimentati nei media precedenti: un film più vasto e al contempo più lucido, consapevolmente aperto alle tendenze di maggior successo di questi anni. Difficile non trovare un metro di paragone quantomeno tematico nel Sacro GRA di Gianfranco Rosi, altro piccolo trionfo veneziano di qualche anno prima; e se il regista italiano trovava nel pensiero di Renato Nicolini la guida per la propria esplorazione etnografica dell'agro romano, l'autrice parigina si avventura alla ricerca della fragile e mutevole identità francese lungo la linea B della ferrovia urbana RER, collegamento tra il centro di Parigi e le banlieue di Hauts-de-Seine, nelle campagne dell'Île-de-France. Sobborghi-dormitori e case popolari in mezzo al nulla, dove la famiglia Diop si stabilì dal Senegal negli anni '70, e di cui l'autrice prova a tracciare una sorta di genealogia metropolitana attraverso volti e ricordi degli abitanti.


Rispetto al pedinamento zavattiniano e il rigore del direct cinema precedente, la vera novità in Nous è l'elemento diaristico, che affida la ricostruzione di una memoria post-migratoria al recupero di video familiari e conversazioni registrate dei propri avi. Non una trovata sconvolgente di per sé (lo stilema è talmente abusato nelle proposte di certo cinema accademico nordamericano da essere da tempo diventato maniera) – ma è proprio l'irruzione di una simile prospettiva a permettere la maturazione politica dell'autrice, che trova nel confronto con il proprio privato il punto di vista mancante ai suoi primi lavori.
Effettivamente, nella precedente produzione di Diop (ora disponibile su MUBI a celebrare il successo del primo lungo in sala) la rabbia restava spesso al servizio di un cinema post-coloniale un po' "di servizio", spesso incapace di organizzare le proprie immagini in discorso (se non rivolgendosi all'ideologicamente scivolosissimo territorio del reenactment). Ed anche in Nous le sequenze di pura osservazione restano le meno interessanti: ancora una carrellata, l'ennesima, tra il grigio quotidiano di poveri cristi costretti a "far finta" che la peraltro numerosa (sei persone) troupe della regista non sia lì a urlargli di non guardare in camera. Solo un confronto personale con il soggetto può elevare il film oltre il vignettismo che molti, a torto o a ragione, imputavano tra gli altri al GRA di Rosi – e in generale al passivo approccio "fly-on-the-wall" che da un po' di tempo si è imposto sulle altre forme documentaristiche come forma privilegiata di racconto del reale (un cinico direbbe "perché ai tempi di Jean Rouch la pellicola costava").


Le immagini rubate del cinema diretto non parlerebbero senza un interlocutore – e un diarismo che non esca dalle mura di casa è solo masturbazione. Nous risolve l'impasse integrando i due approcci: l'home movie dialoga con una ricerca urbanistica contemporanea, giustapposizione anzitutto temporale capace di rivelare tutto un mondo in evoluzione tra i propri stacchi di montaggio. Ripercorrendo le immagini della famiglia Diop e le parole di quattro generazioni di parigini, emerge il senso della personalissima operazione: scoprire attraverso un noi del passato la direzione del noi presente, apparizione sfuggente di una nuova collettività europea tra le erbacce incolte della banlieue.
Interessante infine confrontare l'ecumenismo umanista della giovane Francia decolonizzata alla rozza e un po' caricaturale race war con cui un'istanza simile si articola nei vecchi USA: il Nous di Alice Diop e l'Us di Jordan Peele, commenti coetanei e complementari su società da distruggere nelle fiamme della vendetta storica, o da costruire, riunendo i frammenti di una memoria popolare disgregata. A un certo punto del racconto, le immagini girate dalla Diop adolescente, e il cui ritrovamento avvia la narrazione del film, si interrompono bruscamente: qualcuno ha registrato sopra i volti e le parole dei defunti una trasmissione televisiva de Il Selvaggio. Più chiaro di così.

Autore: Saverio Felici
Pubblicato il 21/12/2022
Francia 2020
Regia: Alice Diop
Durata: 117 minuti

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