Il cielo brucia - Intervista a Christian Petzold

In occasione dell'anteprima nazionale de "Il cielo brucia" al Torino Film Festival, abbiamo incontrato il regista tedesco.

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In my mind dei Wallners è il pezzo che risuona all’inizio e alla fine dell’ultimo bellissimo film di Christian PetzoldIl cielo brucia, fuori concorso al Torino Film Festival e nelle sale italiane distribuito da Wanted. È nella mente del protagonista Leon, scrittore al suo secondo romanzo, che sembra diramarsi questa storia così profonda e allo stesso tempo misteriosa. Invitato a passare l’estate nella casa al mare del suo amico Felix, il romanziere in piena crisi incontra Nadja, una donna autodeterminata e inafferrabile che attrae il giovane e lo mette di fronte a se stesso e ai suoi limiti. Tra i personaggi, a cui si aggiunge Devid - prima amante di Nadja, poi di Felix, -si metteranno in moto dinamiche di seduzione e risentimenti, portando alla luce fragilità e desideri di ognuno di loro. Un dramma che guarda alla coralità di Visconti e all’indagine delle passioni di Bergman, sullo sfondo una riflessione sulla questione ambientale, in un mondo sempre più minacciato concretamente dalla crisi climatica. Quel fuoco che incombe sulle coste è il pericolo che noi stessi abbiamo creato.

Abbiamo incontrato il regista Christian Petzold che dopo Undine, film sull’acqua, si dedica a un altro elemento: il fuoco.

Si tratta di una trilogia degli elementi? Ci può dare altre informazioni sul prossimo film?
CP: Devo fare una premessa: l’Italia è un paese cattolico, io vengo da un paese protestante e un po’ come Leon, il protagonista del film, ho la tendenza a parlare sempre dell’importanza del lavoro o di come il lavoro sia gratificante. Qualcosa che i cattolici non hanno tanto e per cui provo una certa invidia. Il cinema cattolico infatti è un cinema associato alle immagini, i cattolici hanno fatto forse il miglior cinema, mentre il cinema prodotto dalla cultura protestante è più legato alla musica. Quando mi capita di aver realizzato un film in cui mi sono divertito molto, come Undine per esempio penso subito al lavoro successivo, perciò mi ero promesso avanti un progetto sugli elementi (Undine acqua, questo sul fuoco). Lavorando alla sceneggiatura di Tutto brucia e realizzando in seguito il film, mi sono reso conto che volevo concentrarmi su qualcosa di diverso in futuro. In particolare, le scene di gruppo girate intorno al tavolo in cui si beve e si discute, mi hanno fatto capire che in passato mi sono sempre concentrato su due figure, l’uno di fronte all’altro. Il cielo brucia mi ha fatto capire che mi concentrerò su dinamiche di gruppo nei prossimi film, gruppi che tentano di sopravvivere, forse in una trilogia: una famiglia, un gruppo politico, un sindacato.

Questo film, appunto, ricorda molto i cinema di Luchino Visconti, e anche quello di Ingmar Bergman… registi che vengono dal teatro e che hanno lavorato a opere corali.
CP: C’è una parentela interessante tra questi due registi che io amo moltissimo, perché entrambi hanno un approccio molto “economico”, come ad esempio il fatto ritornare per due volte sullo stesso luogo oppure una situazione che si ripete ma con una differenza, che costituisce l’elemento significativo. Amo molto il fatto che entrambi lavorino sulle passioni ma con un approccio molto equilibrato. Monica e il desiderio ad esempio, l’ho visto insieme agli attori quando dovevamo prepararci al film, ma c’è una differenza sostanziale che ho voluto creare nella Nadja di Il cielo brucia, interpretata da Paula Beer.

Ci può parlare meglio infatti della figura femminile, di Nadja
CP: Mentre Monica è esposta totalmente, nelle sue fragilità, nella sua nudità, ed è l’oggetto del desiderio, Nadja fa il contrario. Nadja è una donna indipendente e non ha bisogno del nostro sguardo per esistere, Nadja è sempre presente anche anche quando non la vediamo, vive fuori dall’inquadratura. Esiste al di là della proiezione del desiderio maschile. Nadja è un personaggio etereo e inafferrabile proprio perché si sottrae al desiderio oggettivante maschile.

La natura qui è un elemento importante, tanto quanto la Grande Storia nei suoi film precedenti; quanto influenza perciò i personaggi? E come mai questo cambio di prospettiva?
CP: Nella scena in cui i personaggi discutono al tavolo, Nadja cita von Kleist e il racconto del terremoto in Cile. Quel racconto è ispirato al terremoto di Lisbona che ha cambiato radicalmente il pensiero filosofico europeo e che sancisce l’inizio del pensiero illuminista. In quella scena è di questo che i personaggi stanno parlando ma riferendosi al cambiamento climatico. Il cambiamento climatico non è casuale, ma frutto delle nostre azioni e von Kleist, in seguito al terremoto di Lisbona, afferma che bisogna cambiare e trovare una nuova forma di raccontare la storia e il mondo. Così come noi forse abbiamo bisogno di nuovi modi di raccontare ciò che accade. Ecco, il film forse parla proprio di questo: nuove forme diverse di raccontare.

 

Autore: Andreina Di Sanzo
Pubblicato il 15/12/2023
Germania, 2023
Durata: 102 minuti

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