Arrivederci Saigon

di Wilma Labate

L'incredibile storia, taciuta per cinquanta anni, della band femminile italiana nell'inferno della Guerra del Vietnam

Arrivederci Saigon di Wilma Labate

"Arrivederci Saigon" ... e non parliamone più.

Questo il titolo, presentato nella sezione Sconfini del Festival di Venezia 2018 , nonché il destino, di una vicenda poco nota all'opinione pubblica, senz'altro sconosciuta al ricambio generazionale di uomini e donne, che apprendono ogni giorno  in tempo reale di conflitti mondiali da network glocali, streaming in diretta web, schermando lo strazio umano dilagante, per sopravviver-ci.

E quindi, ben vengano sempre, pur nella loro composizione essenziale di montaggio tra contestualizzazioni d'archivio e video interviste, i barlumi umani(sti) del linguaggio documentale, che può ancora prendersi l'onere del tempo in ascolto, la rimessa in discussione di esperienze senza memoria condivisa.

La regista Wilma Labate, già distintasi per opere di finzione centrate su percorsi di ribellione femminile, s'avvale della prestigiosa fotografia di Daniele Ciprì, e ben si inserisce nel filone di una storiografia trascurata, tutta da riscoprire, che negli ultimi anni trova spazio tra le produzioni attente alle piccole grandi protagoniste della Storia. Storia di lotte e conquiste, storie di donne mai scese dalle barricate culturali. 

Da un lato, dunque, il '68 e il Vietnam, dall'altro lo scavo emotivo, tra pagine di diario mai scritte di proprio pugno, perché sepolte nel fondo di ragioni e dolori di quattro musiciste, Viviana Tacchella, Daniela Santerini, Franca Deni, Rossella Canaccini, a quel tempo adolescenti sognatrici, speranze nel boom della discografia italiana: la band femminile Le Star (dove già solo "band femminile" meriterebbe un'osservatorio a parte).

L'impresa impossibile di restituire l'autenticità di una perduta innocenza nell'intimità dei ricordi frana sotto il macigno del senno di poi, lucido nella narrazione, ma rotto in gola dal rifiuto della comprensione altrui, persino dall'accusa di non essere state vittime di una congerie più grande, ma sostenitrici di quel miasma di morte, contro cui si sollevò il giovanile grido di protesta mondiale, la guerra in Vietnam. Sì, perché Le Stars furono travolte dalla fortuna di poter girare il mondo con un tour di concerti in Estremo Oriente, ma a causa dell'incomprovabile avventatezza del proprio impresario, pena un'ingente sanzione da pagare, soggiornarono per mesi nelle basi militari statunitensi. Gooooood morning, Vietnam! Le Stars, atterrarono sgomente e incredule a Saigon, ufficialmente per arricchire il palinsesto d'intrattenimento dei soldati (tra un numero e l'altro di ragazze in bikini) e lì lasciarono seppellire, proprio come i giovani combattenti, gli entusiasmi dell'età infranta dalla paura dei bombardamenti quotidiani, dalle fila di bare negli hangar, dai volti segnati dalle torture, dalla consapevolezza di abbracciare ogni giorno la morte. Gioventù inspiegabilmente resiliente, vissero quei mesi gomito a gomito con i militari, scoprendone i razzismi intestini, le malinconie, trovando spazio perfino per il fugace pensiero di un amore. Il complesso musicale visse giusto il tempo di quegli sterminati applausi ubriachi, anestetizzati alla compassione, perché al loro rientro in Italia, nella natìa Toscana di provincia, dove si dibatteva, contestava, mobilitava affinché la guerra finisse, ad accoglierle trovarono il paradosso di venir tacciate e taciute, per essere capitate loro malgrado sul fronte sbagliato, quello del nemico imperialista.  Riaffiorano poche lacrime e la rabbia covata sotto la cenere. Emerge tra i silenzi e le parole la nostalgia per un'innegabile ebrezza mai più riprovata, quella di aver attraversato indifese e indenni l'occhio di un ciclone indicibile e il turbamento per non averlo potuto comunicare con fierezza. E in fondo a tutto, infine, l'amore eterno per la musica, per quel travolgente soul e i suoi miti, che spinse i loro animi così lontano, ben oltre gli sconfinamenti musicali, sul baratro del conflitto dell'uomo che non riconosce il suo simile e perpetra vendetta. Una sopravvivenza di passioni che è forse l'unica testimonianza possibile dell'infinito coraggio che quelle ragazze di allora possono trasmettere ai ragazzi di ora.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 10/10/2018
Italia
Regia: Wilma Labate
Durata: 80 minuti

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