Stonehearst Asylum
Ispirato ad un racconto di Poe, il film di Brad Anderson è una storia d'amore tra sanità e follia con davvero poco di gotico

Alquanto paradossale per un’opera che nasce dal ribaltamento tra sanità e follia, ma Stonehearst Asylum è un film davvero molto controllato, troppo attento alla chiusura ideale e conforme della sua storia per suscitare un’autentica inquietudine, un’ambiguità. Lo sguardo di Brad Anderson ormai non si nutre più di sporcizia e frammenti, di polvere di cemento e pilastri sfondati. Il regista di Session 9 pare oggi lontanissimo, nelle sue immagini non ci sono più imperfezioni ma una robusta classicità, a cui corrisponde una scrittura altrettanto attenta a far rientrare tutto nei binari della norma più convenzionale.
Sperduto tra i monti e avvolto da una perenne nebbia, lo Stonehearst Asylum è il manicomio delle celebrità. Tutti gli scarti che l’alta società esilia vengono raccolti qui: omosessuali, eredi riottosi, donne isteriche trovano la loro nuova casa tra queste mura. Esse nascono dal misconosciuto Il sistema del Dottor Catrame e del Professor Piuma, ma il racconto di Poe è soltanto il terreno di partenza per una storia sentimentale nata all’insegna della follia. La presenza nel cast di Kate Beckinsale e Jim Sturgess del resto doveva fare da avvertimento, due facce piatte e divistiche da far danzare al centro di un racconto che di gotico ha poco più dell’apparenza. A mancare soprattutto è un’autentica rappresentazione dello spazio; lo Stonehearts Asylum è ricostruito e fotografato a dovere, ma dov’è la follia aggrappata alle pareti, dov’è la disperazione suscitata da quella scienza orrorifica tardo ottocentesca vista pochi giorni fa in The Knick? Il manicomio di Session 9 era esso stesso epitome del malesse psicologico di chi ci lavorara, era un edificio capace di respirare e sbuffare polvere, e ruggire nei meandri oscuri di celle sotterranee ormai dimenticate. Adesso, ad anni di distanza, Anderson cerca invece l’invisibilità dello sguardo, il rigore della classicità, ma un oggetto così promettente come il manicomio inventato da Poe avrebbe meritato una rappresentazione più angosciante e meno razionale. Altrettanto ambivalente poteva essere il destino dei protagonisti, la loro relazione con la follia e lo stesso rapporto tra sanità e malattia. Nulla di tutto questo viene invece questionato, a dominare è invece una dimensione di romance che finisce per divorare l’intero film, privandolo di molto del suo potenziale.