Pentcho

di Stefano Cattini

Con la vera storia del Pentcho, la nave che salvò centinaia di ebrei dall’Olocausto, Stefano Cattini parte da lontano per raccontare le migrazioni di oggi

pentcho - recensione film cattini

Se è vero che la storia del Pentcho è così folle e incredibile da poter essere raccontata in qualsiasi momento, è altrettanto vero che raccontarla in questi anni assume un significato più importante e necessario. Quella del battello a vapore concepito per brevi gite costiere e che invece attraversò tutto il Danubio fino in Grecia salvando dall’Olocausto più di 500 ebrei è un’avventura a lieto fine che grida vendetta ai porti chiusi, a chi demonizza i soccorsi umanitari ma soprattutto contro chi sbeffeggia le cause dei fenomeni migratori. Sarebbe bello che una copia del documentario girasse per le aule di tutte le quinte superiori permettendo ai ragazzi di capire qualcosa di più del nostro tempo attraverso il passato.

Nel 1940, una nave malmessa carica di slovacchi, cechi e polacchi salpa da Bratislava alla volta della Palestina. La navigazione sul Danubio è difficile, ogni controllo sembra segnare la fine di qualsiasi speranza - sulle prime il capitano spaccia la Pentcho come una nave da crociera – ma ogni volta la (lenta) corsa riparte, arrivano viveri e rifornimenti e l’imbarcazione raggiunge il mare. Succede di tutto: il guasto ai motori, la deriva e l’incidente addosso a una distesa di colata lavica talmente grande da formare un’isola. Per dieci giorni i passeggeri e l’equipaggio vivono come possono fino al salvataggio miracoloso dalla marina italiana, che allora contava degli avamposti in Grecia. Qui viene allestita una tendopoli che assomiglia a un campo profughi fino a quando si ordina il trasferimento in un campo di concentramento nei pressi di Cosenza dove, per fortuna, la prigionia si compie “all’italiana”.

Stefano Cattini prima di tutto intervista alcuni testimoni diretti. Come prevedibile, le parole degli anziani sopravvissuti (si salvarono tutti) sono rotte dall’emozione ed è avvincente osservare come quei fatti abbiano legato indissolubilmente e per sempre centinaia di sconosciuti. Nel 1998, uno di questi documentò con foto e video un viaggio commemorativo nei luoghi della vicenda: Cattini sfrutta questo materiale quasi a costruire un film nel film in un gioco di cornici che dona completezza all’opera. Non mancano, poi, e qui registriamo interessanti analogie antropologiche con l’attualità, le fotografie scattate nei mesi tra il 1940 e il 1941: quelle al battello e che immortalano i dieci giorni terribili sull’isola deserta e desertificata, le istantanee nell’accampamento greco e quelle a Ferramonti, la cui storia meriterebbe di essere approfondita. Se oggi come allora resta immutata la volontà di registrare il ricordo di eventi straordinari, non si può non rimanere tuttavia abbagliati dai sorrisi dei passeggeri anche nei momenti più drammatici e pericolosi: un’apparente incongruenza risolta della voce narrante del regista, mai retorica e anzi molto ispirata, che ci ricorda che in quegli anni di fronte a una macchina fotografica si sorrideva, nonostante tutto.

La parte più interessante del documentario è però quella della regia vera e propria in cui il cinema del reale emerge in tutta la sua apparente semplicità. L’autore mette in scena i luoghi lambiti dal passaggio della nave come se quella natura, i porti, i sobborghi e le costruzioni fossero testimoni silenziosi ma vivi, attenti partecipanti alla storia come se la lunga traversata del Danubio fosse una gara sportiva o meglio ancora un’avventura epica capace di risvegliare la coscienza di quelle rive. Nei punti cruciali del viaggio, poi, Cattini ha l’intuizione di riprendere dalla lunga o media distanza una nave, una chiatta o qualsiasi altra grande imbarcazione solita passare di lì suggerendo un processo di trasfigurazione che risulta credibile e appropriato. Le riprese degli scenari sulla terraferma, infine, testimoniano come i luoghi pur mutando i connotati riescano a mantenere un’anima nobile al servizio della Memoria.

Pentcho, a tratti, si guarda proprio come un film d’avventura di cui si conosce già il finale o almeno sapendo che gli sviluppi saranno tutt’altro che drammatici. Qua e là, tuttavia, emerge tutta la sofferenza di perdere tutto pur di intraprendere un viaggio impossibile che riservi un guizzo di speranza – manca, a ragione, un’enfasi che risulterebbe stucchevole. Il regista racconta la storia di un microcosmo di medici, artigiani, operai, studenti, donne e bambini costretti a partire dopo che le rispettive terre d’origine sono diventate improvvisamente una minaccia mortale. Nei lunghi mesi di navigazione, nelle malattie diffuse sottocoperta e nello spirito di sopportazione di quella gente comune si nasconde un j’accuse civile e politico che meriterebbe un pubblico numeroso.

Autore: Paolo Di Marcelli
Pubblicato il 13/03/2019
ITALIA, UK, 2018
Durata: 80 minuti

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