Starry Eyes

Il patto diabolico e l’ossessione per la celebrità: convincente horror satanico fedele agli stilemi del genere e al tempo stesso pregno di una buona dose di originalità

Il Diavolo, probabilmente: il signore del Male è tra i protagonisti per eccellenza del cinema orrorifico, figura terribile ed ammaliante al tempo stesso, seduttiva e ricattatoria. Numerose sono le pellicole incentrate su coloro che adorano il Demonio, gli appartenenti a quelle sette sataniche di cui si parla anche troppo ma delle quali è assai difficile inquadrare una natura univoca: dai teenagers del cosiddetto “satanismo acido”, crudele e pericoloso, fino a logge segrete di cui, si vocifera, facciano parte i ricchi e potenti. Sul grande schermo, i diabolici discepoli hanno avuto le fattezze più disparate, dai celeberrimi vecchietti del capolavoro Rosemary’s Baby, passando per la famiglia in cerca di una baby-sitter/vittima sacrificale di House of the Devil di Ti West – film di cui ritroviamo più di un eco in Starry Eyes – per arrivare ai malefici abitanti di un villaggio dotati di poteri occulti ne Il Maligno di Robert Fuest.

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Starry Eyes è un indie horror parzialmente finanziato tramite crowdfunding, e diretto a quattro mani da Kevin Kolsch e Dennis Widmyer – anche autori dello script – già registi del buon thriller Absence (2009) e del documentario su Chuck Palahniuk Postcards from the Future (2003), insieme a Joshua Chaplinsky. Widmyer dirige l’official site di Palahniuk e il crowdfunding per Starry Eyes è andato a buon fine anche grazie alla fanbase dello scrittore. Il nichilismo dell’autore di Fight Club è influenza evidente per i due cineasti, che confezionano un film cinico, per alcuni versi derivativo ma, al tempo stesso, forte di non poche peculiarità. Per il successo, si fa qualsiasi cosa: questa è l’opinione di Sarah (Alexandra Essoe), aspirante attrice e frustrata cameriera di un diner, presa poco sul serio dai propri amici e dileggiata continuamente da Erin (Fabianne Therese), sua rivale nella corsa verso lo stardom. Un’audizione per la Astraeus Pictures, compagnia dal passato illustre, rappresenterà l’occasione che Sarah attendeva da tempo ma, inutile dirlo, il prezzo da pagare non è a buon mercato. In un plot lineare, con una tematica già vista in contesti differenti, Kolsch e Widmyer hanno l’abilità di inserire degli spunti degni d’interesse, scostandosi anche stilisticamente dalle molte pellicole horror che possono sembrare, a primo acchito, simili. Alcuni tratti della personalità di Sarah vengono resi in modo non banale: è ambiziosa, tenace, ma assai emotiva; alle audizioni non può fare a meno di staccare gli occhi dal foglio e, in primo luogo, le sue reazioni ai rifiuti da parte dei direttori di casting sono violente e solitarie. Sarah, infatti, è un’autolesionista che si strappa ciocche di capelli ogni qual volta ha una crisi: ciò la rende una figura realistica, fragile, e mette in evidenza come la sua ricerca della fama nasconda un bisogno di approvazione, dunque, una scarsa autostima.

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L’audizione all’Astraeus è dura, anche umiliante, ma le promesse sono allettanti e il tacito patto, infine, va in porto, nonostante la giovane noti il pentacolo rovesciato al collo della casting director: la casa produttrice altro non è che un culto demoniaco, che ha donato il successo a numerose celebrità. Viene spontaneo pensare alla sfortunata Jane Mansfield, vicina alla Chiesa di Satana di LaVey oppure alle molte star legate a Scientology, che di satanico ha ben poco se non l’amore sfrenato per il denaro. La riflessione sulla componente diabolica del successo è efficace nonché realistica, in quanto nel satanismo fama, ricchezza e potere sono considerati valori supremi. Come già si diceva, le componenti derivative non mancano, e sia House of the Devil che Rosemary’s Baby sono rimandi ben presenti, senza comunque inficiare il risultato finale ed evitando l’effetto-fotocopia.

Starry Eyes ha un ritmo lento, graduale, ansiogeno, e l’atmosfera disturbante è accentuata da uno score ad hoc, firmato da Jonathan Snipes. Il film è stato presentato al festival statunitense South by Southwest, riscuotendo parecchi consensi: inedito da noi, merita di essere scoperto e apprezzato.

Autore: Chiara Pani
Pubblicato il 22/01/2015

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