Invelle

di Simone Massi

I bambini nel tempo di Simone Massi compongono una straordinaria ode alla civiltà contadina.

Invelle di Simone Massi

A Simone Massi, animatore resistente, come si autodefinisce, mancava solo il lungometraggio. In realtà la sua lunga e ricca opera è già compiuta, fatta di corti in dialogo tra loro, dai recenti La guerra è finita e In quanto a noi (Nastro d’argento ex aequo), andando indietro sino a piccole perle come Dell’ammazzare il maiale e Nuvole, mani. Un corpus forte e coerente, raccolto in Dvd (Minimum Fax, 2014) e dunque storicizzato, cristallizzato in segni stilistici che sono ormai “il cinema di Simone Massi”. Senza dimenticare il contributivo decisivo per La strada dei Samouni di Stefano Savona, un altro film contadino, iscritto nel dramma della Striscia di Gaza. E sarebbe stato affascinante vedere ancora Massi e Savona, nel recente doc di quest’ultimo, Le mura di Bergamo sulla tragedia ellenica del Covid e sulla riscoperta della Morte. Intrigante sarebbe stato vederlo messo in animazione da Massi. Il quale invece ha realizzato il primo lungometraggio, Invelle, un’opera di novanta minuti co-prodotta sempre da Minimux Fax e con le voci di Ascanio Celestini, Luigi Lo Cascio, Neri Marcorè, Giovanna Marini (fondamentale), Toni Servillo, Filippo Timi. La presenza nella sezione Orizzonti, al Festival di Venezia, attesta la difficoltà di collocare l’animazione italiana in concorso ma anche, a pensarci bene, il ritaglio di uno spazio altro, alieno, un a parte rispetto a tutto il resto. Com’è il film.

Invelle, ossia “nessun posto” (nowehere, il sottotitolo inglese), è il luogo che viene raccontato, la terra contadina delle Marche, quella del regista. Ci sono tre bambini nel tempo, due femmine e un maschio. Attraverso il Tempo e la Storia: si inizia nel 1918 quando Zelinda è una bimba di famiglia contadina, con la mamma scomparsa e il padre sul fronte di guerra. Con la fantasia, però, la piccola torna ad avere entrambi i genitori e si produce in una sequenza vertiginosa alla fiera, vedendo cose, guardando forme, che forse sono reali o solo immaginate. L’ellissi conduce al 1943, altro anno di guerra, ora la bambina si chiama Assunta e assiste all'aspra lotta tra fascisti e comunisti. Il film, in bianco e nero, quando giungono i partigiani si tinge di rosso: «Io non sono imparziale», direbbe Moretti. Qui emerge la resistenza dell’animatore. Nel 1978 troviamo Icaro, bimbo dal nome mitologico, costruttore del labirinto di Cnosso e destinato al folle volo verso il sole, ma più prosaicamente sfottuto dai compagni di scuola: “Contadino!”. Forse è una figura sognata Icaro, eppure il ’78 è fatto di carne e sangue, soprattutto quello di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse nell’era del terrorismo, punto di approdo – solo momentaneo – di un percorso durato sessant’anni. Che continua oltre lo schermo.

Il denominatore comune della storia una e trina è il piccolo mondo antico. Simone Massi compone una straordinaria ode alla civiltà contadina, una Bucolica scritta con forza creativa ispirata e felice. Si rivela particolarmente opportuna la scelta di rappresentare i contadini mediante l’animazione: un passato remoto si va evocando, un pianeta perduto, e allora proprio l’atto di inchiostrarlo senza ricorrere agli attori aumenta la sua portata mitica. Più ancora del cinema finzionale di Alice Rohrwacher, che pure a questo è dedicato. Massi unisce la leggerezza del disegno a penna al graffio dell’incisore, perché la sua forma narrativa si fa anche violenta, vive di strappi improvvisi, è il richiamo di un mondo e insieme un film di guerra. Il tratteggio dolce di una fanciulla e la voce dura della radio nel conflitto. Mentre il tempo passa come in un film di Bellocchio, come il Trebbia che scorre in Sorelle Mai. Così facendo l’animatore arriva al paradosso di rappresentare il nulla, di afferrare l’intangibile, ciò che appunto si chiama invelle: «Nel pezzo di terra dove sono nato e cresciuto non c’è niente di importante da vedere e da ricordare, niente che possa essere considerato degno di finire sui libri (…) - sostiene -. La Storia con la maiuscola ha preso e preteso tutto quello che voleva e poteva. In cambio abbiamo avuto le storie con la minuscola, quelle che le tramandi a voce oppure si perdono». È proprio questo niente che prende forma, anzi forme, restituendo dignità al mondo contadino in un gesto di continua invenzione. Il migliore italiano a Venezia, in senso proprio etimologico, perché scritto e disegnato sulla nostra terra, e non potrebbe esistere fuori. 

Autore: Emanuele Di Nicola
Pubblicato il 15/09/2023
Regia: Simone Massi
Durata: 90 minuti

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