Sarà un paese

Come raccontare l'Italia e le sue contraddizioni ad un bambino? Nicola Campiotti tenta l'impresa con un'opera prima acuta e sognante

Alla sua opera prima, il regista figlio d’arte, Nicola Campiotti, si inserisce in quel medesimo solco cinematografico, rimarcato di recente da La mafia uccide solo d’estate di PIF, ovvero parlare ai più piccoli dei temi più crudi e scottanti della contemporaneità, non solo italiana (l’inquinamento industriale, la crisi del lavoro, la speculazione e la mafia, ma anche la multiculturalità e i comuni virtuosi). Tutto questo ed altro ancora è Sarà un paese, non a caso scelto dall’UNICEF, per celebrare la Giornata mondiale del Bambino e il 25° Anniversario della Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza.

Campiotti ha il merito di non indulgere, da autore e da adulto, nell’edulcorazione della narrazione, affinché le problematiche e le tragicità sociali risultino per il giovane pubblico accessibili (o peggio marginali nell’economia di genere del film), piuttosto tenta, con inedita sensibilità, di esplorare e trasporre nella messa in scena, a metà tra fiction e documentario, la prospettiva di (in)comprensione del reale, che ogni bambino inesorabilmente e a modo proprio squarcia per diventare adulto.

L’adulto che sarà. Il (di già) cittadino di una Italia, che ad oggi appare pervasa più dal dolore che dalla prosperità, ma in cui tornano sempre a fiorire coraggio, resistenza e buona volontà.

Il piccolo Elia e suo fratello trentenne Nicola (interpretato dallo stesso Campiotti) sono i protagonisti di un viaggio per il bel paese che, prendendo spunto dal mito dell’eroe fenicio Cadmo, cui si deve l’introduzione dell’alfabeto, scandisce le tappe attraverso “parole – chiave”, che non sono affatto capitoli disgiunti, ma luoghi dell’ascolto e della rielaborazione di un’unica trama di testimonianze: la nostra storia di cittadinanza e collettività. Elia e Nicola emulano le origini della civiltà, che seppe farsi artefice della comunicazione e rappresentazione di sé, per scovare oggi consapevolezza e nuovi valori e non tanto per collezionare ulteriori moniti per il futuro, quanto per trasfondere consistenza nel presente, travolto dall’assuefazione al flusso indistinto e ridondante di immagini stesse, dall’arrendevolezza al già visto quotidiano. In effetti il vagheggiamento di un mito, una utopia di cui antropologicamente non si è potuto e non si potrà mai fare a meno! Ecco allora che Elia e Nicola assumono il profilo di una proiezione reciproca, il piccolo/grande - Uomo che Jorodoskianamente dialoga e conduce per mano se stesso nel tracciato continuo dell’esistenza (Elia indossa dinanzi allo specchio gli “abiti – abitudini”, dell’ adulto Nicola; così come la specularità dei protagonisti ci è data costantemente dai loro zaini in spalla, simili, ma differenti solo per dimensione).

La focalizzazione interna dei loro complementari punti di vista, data dalla voce in over sound, piuttosto che da controcampi diretti, riesce a coinvolgere lo spettatore quale interlocutore esterno, cui è chiesto non certo di immedesimarsi, bensì di affrontare l’ ambiguità della distorsione atemporale che ne deriva: è il Futuro, lo sguardo del piccolo Elia, che esplora la complessità del Presente? O piuttosto, il Presente, che stenta ad intra-vedere il Futuro? Resta che a farla da padrona ( e questo è l’essenziale indiscutibile!) è l’immaginazione messa in moto, la creatività giocosa diffusa, che attraverso eterogenei linguaggi visuali (l’allestimento scenico scolastico, le illustrazioni a matita, le sequenze oniriche) ci riconsegna senza filtri la semplicità acuta e disarmante, propria dell’infanzia, quale estensione ancestrale del pensiero umano. In una sorta di fortunata affinità intellettuale, Sarà un paese, a dispetto di quello che potrebbe costituire il suo punto debole, ovvero la fatica di penetrare tutte le vicende alla stessa maniera, appare di contro come la realizzazione dei dettami dell’accademico francese Alain Bergala , qui citato per la sua consulenza ministeriale all’introduzione delle arti tra gli insegnamenti fondamentali d’oltralpe:

i più bei film da mostrare ai bambini non sono quelli in cui il cineasta cerca di proteggerli dal mondo, ma spesso quelli in cui un altro bambino riveste il ruolo di cuscinetto, di intermediario, in questa esposizione al mondo, col male che ne fa parte, con l’incomprensibile … è meglio identificarsi con un personaggio simile a noi che non capisce tutto, piuttosto che sentirsi esclusi direttamente, personalmente, da ciò che non si comprende. ..è già una pedagogia dello sguardo: accettare di vedere le cose, con la loro parte di enigma, prima di aggiungervi parole e senso

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 12/04/2015

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