
Alla luce del nuovo film sul celebre dramma shakespeariano Romeo e Giulietta, una domanda sorge inevitabile e spontanea: cosa ha spinto la neo-nata Swarowsky Entertainment a pensare di produrne l’ennesimo adattamento? La vicenda dei due amanti veronesi, per quanto straordinaria e sempiterna, è forse troppo nota, e non solamente per le sue versioni cinematografiche – di cui la più fedele e celebre rimane tutt’oggi quella di Zeffirelli –, per poter pensare di riproporla senza, se non altro, un impianto che ne offra una lettura che abbia una parvenza di originalità. La pellicola diretta da Carlo Carlei, invece, forte della solida sceneggiatura di Julian Fellowes (noto soprattutto per aver sceneggiato Gosford Park di Robert Altman e creato l’acclamata serie televisiva Downtown Abbey), si offre come un riproposizione pulita e fedele dell’opera, seppur fluidificata da dialoghi agili che le donano ritmo e armonia.
Così, accompagnata da belle immagini, si dispiega la stra-nota vicenda, senza particolari picchi né cadute, raccontando il giovane e tragico amore di Giulietta e Romeo. Interpretati da attori giovanissimi che, in questo senso, sembrano incarnare perfettamente le prescrizioni del Bardo: Hailee Steinfeld, candidata all’Oscar per Il Grinta, e Douglas Booth. Le vie di Verona, teatro della sanguinosa storia, insieme ai costumi, le scenografie e la splendida fotografia che ne sottolinea, con meticolosa cura, ogni particolare, sono un incantevole omaggio visivo alle atmosfere narrate da Shakespeare e al suo meraviglioso dramma. La precisione con cui il regista narra le dinamiche dell’astio tra le due famiglie è segno inconfutabile di sensibilità e rispetto nei confronti del testo originario, pressoché invariato se non per facilitarne la comprensione.
Ciò che manca, purtroppo, sono le emozioni. Lacuna che si configura come terribilmente grave nel momento in cui si tratta di un adattamento dell’opera di William Shakespeare. Un’eccessiva aderenza al testo, infatti, sembra aver causato uno scarto emozionale. Lei, forse, un po’ troppo giovane, almeno agli occhi del pubblico attuale, lui carente di intensità: l’amore tra i due, tutt’altro che travolgente, si riduce così a mera cotta adolescenziale, tanto che la tragedia finale appare terribilmente forzata, per quanto tutt’altro che inaspettata. Il film è, inoltre, scevro da ogni passione: ne sono cariche solamente le parole, che risultano però inevitabilmente vuote. Particolarmente deludente, in questo senso, il monologo di Giulietta al balcone, molto rapido e poco sentito dalla giovane attrice, come si volesse livellare uno dei momenti più importanti del dramma e riportarlo a pari con tutto il resto.
Una nota di merito, invece, alle interpretazioni dei personaggi secondari. La balia di Giulietta, Leslie Manville, sprizza di affetto ed energia regalando momenti di ilarità, e Frate Lorenzo, un impeccabile Paul Giamatti, personaggio cui è data una giusta e ampia importanza, si fa portavoce di un pathos che sembrava altrimenti perduto. Paradossalmente, è attraverso il suo sguardo che si vive con maggiore intensità la tragedia della scena finale, la sua palpabile disperazione: prova a strappare Giulietta dal corpo esanime di Romeo e la vede uccidersi, da lontano, e assumere la posa della Pietà di Michelangelo, con l’amato tra le braccia.
Romeo & Juliet si delinea, in conclusione, come omaggio alla forma e non al contenuto emozionale dell’opera, configurandosi come adattamento incompiuto e debole del dramma shakespeariano.