Roma 2012 / Mundo invisivel

E’ un modulo difficile quello del film ad episodi, specie se i corti che compongono il tutto possono raggiungere l’effimera durata di tre minuti; si rischia così l’effetto catalogo, la raccolta disanimata di spunti, idee, visioni congelate in uno stato primordiale. Altrettanto pericoloso è un tema come quello dell’invisibilità umana, vista nella sua accezione sociale, esistenziale, storica, fisica o antropologica; il rischio qui è quello di imboccare la via della retorica spicciola e della banalità, specie se a disposizione si hanno solo pochi istanti. E’ per questo che un lavoro come Mundo invisivel appare davvero una grossa sfida, pur coinvolgendo dentro di sé nomi che hanno fatto la storia del cinema.

Nato da un’idea di Leon Cakoff e Renata de Almeida e dall’humus della Mostra Internazionale di Cinema di San Paolo, Mundo invisivel è stato presentato l’ultimo giorno di Festival nella sezione CinemaXXI, e per quanto non si possa definire un’opera del tutto riuscita non mancano momenti di rara fascinazione, oltre che acuta emozione se consideriamo ad esempio l’apertura affidata allo scomparso Theo Angelopoulos, che partendo dai graffiti per le strade di San Paolo finisce per seguire i vagabondaggi di un predicatore ignorato da tutti; a seguire abbiamo la prima lettura trasversale del tema, uno sguardo lanciato da Guy Maddin al cimitero cittadino nel giorno dei morti; il terzo lavoro invece (di Marco Bechis) è il classico esempio di banalità di cui si parlava poco sopra, con degli Indios colti nell’esplorazione di uno dei più antichi parchi della città; il successivo brano, affidato a Manoel De Oliviera, è in verità il delizioso corto sull’incomunicabilità visionato qualche anno fa, con protagonisti due vecchi amici ostacolati nella loro conversazione dalle nuove tecnologie. Dopo ancora è il turno di Lai Bodanzky, che realizza uno dei lavori più belli dell’operazione con la sua esplorazione del concetto di “attore invisibile”, ideato da Yoshi Oida e sezionato con interviste e riprese di spettacoli dal vivo; un intreccio di documentario e finzione che lascia estremamente affascinati. Subito dopo torna di nuovo l’emozione e il groppo in gola grazie a Gian Vittorio Baldi, che ricostruisce l’interagire del suo maestro Pier Paolo Pasolini con la città di San Paolo, nella quale stava pensando di filmare la vita del santo da cui prende il nome. A seguire uno degli episodi più insipidi e banali, la vita quotidiana del cameriere di un albergo seguita nella sua sistematica invisibilità; un poco meglio con il seguente Kreuko dei brasiliano Beto Brant e Cisco Vasquez, che in pochi minuti ritraggono l’abisso di una follia umana non riuscendo però a tenere le redini delle proprie visioni. Piacevole l’idea di Jerzy Stuhr, che nell’episodio successivo omaggia i suoi spettatori montando riprese rubate nel buio della sala durante i suoi spettacoli. E’però quasi in chiusura che arriva il meglio, quei 10 minuti che da soli valgono e salvano la visione, e lo si deve guarda caso a Wim Wenders, che con la delicatezza di un poeta segue le lezioni speciali tenute ad alcuni bambini quasi privi della vista; li recupererà a due anni di distanza, documentando i progressi fatti ad un reparto sperimentale dell’ospedale di San Paolo. A chiudere invece abbiamo la testimonianza di Atom Egoyan, che destreggiandosi tra le pieghe della fiction e del documentario porta alla luce il mail abbastanza narrato genocidio subito dagli armeni agli inizi del secolo scorso.

In conclusione Mundo invisivel, vuoi per l’eccessiva brevità di certi lavori e vuoi per la povertà di altri, non riesce a fissarsi nella mente dello spettatore, nel quale rimane radicata a fine visione la sensazione che la somma delle parti (o almeno alcune) non abbia valso il tutto ma molto meno.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 22/01/2015

Articoli correlati