Bogside Story

di Rocco Forte Pietro Laino

Il racconto di una strage di Stato attraverso l’arte, le voci e l’incredibile repertorio sonoro

Bogside Story Pietro Laino Rocco Forte

Non è la prima volta che la Bloody Sunday approda al cinema, sia esso documentario o di finzione. È bene ricordare che il 30 gennaio del 1972, a Derry, piccolo centro dell’Irlanda del Nord famoso in quegli anni per essersi liberato dall’occupazione militare, fu indetta una manifestazione pacifica in difesa dei diritti civili (la minoranza cattolica, di fatto ghettizzata dai protestanti fedeli a Londra, oltre a pretendere condizioni di vita dignitose, chiedeva di abolire la legge disumana che prevedeva la detenzione dei prigionieri politici a tempo indefinito senza un regolare processo). L’Ira fu espressamente invitata a non partecipare e rispettò il divieto, non vi furono particolari tensioni tranne qualche minuto di sassaiola nei pressi di un blocco inatteso che obbligò il corteo a dirigersi prima del previsto verso il palco del comizio. Fu una domenica di sangue perché i soldati britannici spararono sulla folla disarmata uccidendo quattordici innocenti, molti dei quali minorenni. Un episodio inaudito ed efferato che ebbe ripercussioni in tutto il mondo ma soprattutto - le più devastanti - sul conflitto nordirlandese che si riaccese con rinnovata violenza – molti storici concordano su una spietata e strategica premeditazione che avrebbe dovuto, come poi accadde in seguito alla reazione dei nazionalisti, giustificare una nuova ondata di repressione.

C’è molto da vedere e da ascoltare nel film di Rocco Forte e Pietro Laino. Il perno sui cui ruota l’intero lavoro è il fotoreporter Fulvio Grimaldi, l’unico che quel giorno documentò il massacro con la sua macchina fotografica, chiamato a testimoniare in occasione della nuova inchiesta per individuare i colpevoli. Un uomo col portamento e il carisma dell’attore consumato (non a caso fu Patanè, giornalista del Paese Sera, in Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto), austero e compassato ma ancora energicamente vitale nel raccontare il prima, il durante e il dopo. Molto spazio hanno anche i Bogside Artists, che prendono il nome dal quartiere teatro della vicenda, un trio che negli anni ha dipinto sulle facciate di quelle case dodici murales di grande impatto visivo raffigurando le scene della strage, le vittime, l’assedio precedente alla Bloody Sunday e molti altri simboli e icone del conflitto e della resistenza. E poi la gente del Bogside, i familiari delle vittime, la commemorazione, i cenni a Bobby Sands e a tutti coloro che protestarono contro la Thatcher attraverso lo sciopero della fame.

Nonostante una confezione più televisiva che cinematografica - potrebbe tranquillamente rappresentare un appuntamento speciale all’interno di un programma di approfondimento - e una semplicità eccessiva nelle grafiche che riassumono le fasi salienti di trent’anni di scontri, Bogside Story sa aprirsi a due questioni politico-sociali che partono da Derry per riguardare qualsiasi altro posto “caldo” in giro per il mondo. La prima riguarda l’obiettivo dei murales, ovvero mostrare continuamente, da anni, una pagina di Storia su cui è essenziale continuare a riflettere e discutere, ricordando e spiegando a chi non c’era come andarono le cose. In questo modo, il documentario di Forte e Laino parla anche a noi italiani, urlandoci addosso il rimosso che faremmo bene a recuperare per capire qualcosa in più del presente in cui viviamo e più in generale mette il punto sulla necessità che i “luoghi oscuri”, come li chiama James Ellroy, restino ancorati nel dibattito culturale e mediatico del nostro come di qualsiasi altro Paese irrisolto. La seconda questione, infatti, è conseguente alla prima e ha come punto di partenza il viaggio senza sosta dei Bogside Artists laddove ci sia bisogno di sensibilizzare alla memoria una determinata comunità. Le grandi opere del trio disseminate in Tibet come in America estendono il discorso sull’azione politica dell’arte in uno scenario tristemente diffuso, in cui la Bloody Sunday non è altro che un tassello di un mosaico in continua costruzione. La domanda è sempre la stessa: cosa fare perché simili scempi non accadano più?


Infine, Forte e Laino sfruttano in pieno la collaborazione di Grimaldi per riflettere su un aspetto più propriamente profilmico e addirittura cinefilo, se pensiamo a Blow out di Brian de Palma (1981), ovvero l’audio integrale di quel pomeriggio che il giornalista documentò col suo registratore portatile. Ecco allora che il rumore degli spari, le grida, le implorazioni e l’angoscia assordante riescono a riportare a galla l’orrore di quarantasei anni fa senza filtri o rielaborazioni, celebrando drammaticamente l’assoluta centralità del suono in presa diretta nel cinema del reale.

Autore: Paolo Di Marcelli
Pubblicato il 21/11/2018

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