The Wicker Man

di Robin Hardy

A oltre quarant'anni dalla sua realizzazione, il cult folk horror diretto da Robin Hardy non perde un milligrammo della sua potenza. Imprescindibile.

The Wicker Man - recensione film folk horror

Diretto da un esordiente Robin Hardy, The Wicker Man (letteralmente: l’uomo di vimini) è cult assoluto, difficile da incasellare in un genere preciso: film horror, hippy, pagano, musical, drammatico e ironico al tempo stesso, è oggetto filmico unico e non replicabile, come dimostra l’imbarazzante remake realizzato da Neil LaBute nel 2006. Il progetto nasce da un’idea del produttore Peter Snell, dello sceneggiatore Anthony Shaffer (il film è anche noto come Anthony Shaffer’s The Wicker Man) e da Christopher Lee, che nell’opera ha il ruolo cardine di Lord Summerisle. Assieme infatti i tre acquistano i diritti del libro Ritual, scritto da David Pinner e pubblicato nel 1967, nonostante il testo risulti alla fine privo del fascino necessario a permettere una buona trasposizione (il romanzo non fu mai accreditato come fonte dello script, e ciò ha dato adito nel tempo a controversie da parte dello stesso Pinner). Nel progetto viene quindi coinvolto come regista Hardy, e dopo un massivo brainstorming ecco che The Wicker Man prende forma: la storia di un sergente di polizia scozzese (Woodward), rigido e fervente cattolico il quale, in seguito a una lettera anonima, viene convocato su di un’isola, Summerisle, per indagare sulla scomparsa di una ragazzina, Rowan Morrison. Il sergente Howie si renderà ben presto conto della peculiare religiosità degli abitanti, dediti al paganesimo, e lo svolgersi del narrato svelerà l’inganno e il reale motivo per cui egli è stato chiamato in quei luoghi.

Ciò per cui The Wicker Man è rimasto alla storia è sicuramente il suo modo di ritrarre il paganesimo, un ritratto non improvvisato e anzi nato da approfondite e meticolose ricerche compiute da Shaffer, in primis con lo studio de Il ramo d’oro (The Golden Bough: A Study in Magic and Religion), il celebre compendio scritto dall’antropologo Sir James George Frazer pubblicato dapprima nel 1890 e poi ampliato fino all’edizione definitiva nel 1915. Tutti i riti, le credenze e le pratiche mostrate nel film sono autentiche, prese da varie epoche e culture e condensate in una sola unità di tempo e luogo. Il Wicker Man, ossia l’imponente gigante di vimini che non solo dà il titolo alla pellicola ma ne è la vera anima pulsante, era utilizzato dai Druidi per i sacrifici alle divinità: nell’interessante documentario Burnt Offering: The Cult of the Wicker Man, presente tra gli extra dell’edizione blu ray di StudioCanal, viene mostrata un’illustrazione del XVIII secolo in cui “l’uomo di vimini” è rappresentato con un volto umano. Shaffer e Hardy scelsero di farlo realizzare senza volto, in modo da renderlo ancora più inquietante. Lo scopo principale degli autori non era quello di far credere che questi culti fossero ancora esistenti nella Gran Bretagna di inizio anni ‘70, bensì, stando alle parole dello stesso Hardy, si mirava a far riemergere memorie sepolte nello spettatore, ricordi d’infanzia legati a riti cattolici che, in modo assai evidente, derivano proprio da quei culti pagani che la Chiesa ha sempre condannato.
La pellicola è stata girata in varie locations, tra cui Plockton, minuscolo villaggio scozzese: ogni luogo ha fornito le caratteristiche perfette a formare il risultato finale di Summerisle, isola inesistente governata dal carismatico Lord, perfettamente interpretato da Christopher Lee in quello che l’attore considera il suo ruolo migliore, nel film da lui prediletto in una carriera assai lunga e prolifica. Lee, infatti, desiderava distaccarsi dal personaggio che l’aveva reso celebre, ossia il Dracula di casa Hammer, un ruolo che rischiava di imprigionarlo e che, in ogni caso, è ancora oggi indissolubilmente legato alla sua figura.

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Cosa rende The Wicker Man opera assolutamente unica e peculiare? In primis la rappresentazione inedita del conflitto tra paganesimo e cattolicesimo, dove quest’ultimo rappresenta la minoranza nelle vesti di un uomo solo dentro una una comunità di persone che credono in altro, in qualcosa che Howie rifiuta e che vede come sporco e blasfemo. Il talento di Shaffer e Hardy risiede nel portare lo spettatore dalla parte degli isolani, rendendo il protagonista "normale” non soltanto un outsider ma soprattutto un personaggio poco gradevole: il sergente si reca sull’isola per ritrovare la ragazzina scomparsa ma non perde occasione per criticare e interferire con i culti degli abitanti. Una chiara rappresentazione dell’assolutismo cattolico, che non tollera ciò che è diverso da sé, definendo maligno e blasfemo tutto quello che non rientra nella sua ottica ristretta e bigotta e pretendendo di imporre il proprio punto di vista: è esattamente l’atteggiamento di Howie, che non possiamo non percepire come ottuso e restrittivo, invasivo e supponente. Edward Woodward è stato assai abile nel rendere la rigidità del personaggio tramite una recitazione che potremmo definire volutamente “ingessata”, trattenuta, frustrata, in aperta contrapposizione alla libertà totale degli abitanti di Summerisle, che vivono in nome di una mancanza di freni che li rende gioiosamente folli, per poi mostrare, tuttavia, il suo lato oscuro. Un grande pregio del film è che si astiene da ogni tipo di giudizio morale se non verso il sergente: le pratiche degli isolani, per quanto bizzarre, sono mostrate in modo da apparire naturali e spontanee, dunque normali nel contesto in cui hanno luogo.

Altro elemento fondamentale per il film è la sessualità, intesa come componente base del paganesimo: dal sesso libero praticato nei prati, con grande sgomento di Howie, fino alla maestra di scuola, Miss Rose (Diane Cilento) che insegna alle sue allieve il significato del maypole, ossia “l’albero di maggio”, che è chiaro simbolo fallico, passando per il fascinoso rituale di fertilità con un cerchio di ragazze nude che saltano attraverso il fuoco. La sequenza più emblematica, tuttavia, resta sempre quella che ha luogo nella locanda dove soggiorna Howie, The Green Man, il cui proprietario è Alder Mac Greagor, padre della conturbante Willow e interpretato dal celebre mimo Lindsay Kemp; la giovane, che risiede nella stanza accanto a quella del sergente, nella notte lo tenta cantando una canzone fortemente allusiva, un vero e proprio invito, e danzando nuda per la stanza mentre batte le mani sul muro. E’ uno dei momenti più affascinanti del film, in cui la sensualità all’ennesima potenza si scontra col tormento del personaggio maschile, che resiste a fatica in quanto “fidanzato e alle soglie del matrimonio”. Inoltre, Howie non ha mai avuto rapporti sessuali, è dunque vergine poiché, da buon rigido cattolico, non concepisce il sesso pre-matrimoniale.

Ciò che il film ci mostra è quanto il concetto di “normalità” possa essere relativo: l’uomo della mainland, appartenente alle forze dell’ordine, uniformato e cattolico, solitamente è parte di una maggioranza che emargina la diversità. In questo caso, invece, è proprio la diversità a farla da padrone e l’ottusità del personaggio di Howie emerge nel suo voler comunque trattare da outsiders gli abitanti del villaggio poiché egli considera il suo Dio superiore alle loro divinità, tra le quali spicca Nuada, dio del sole. A questo proposito, è illuminante un dialogo tra Howie e Lord Summerisle: il Lord illustra al sergente la loro credenza nella Partenogenesi, ossia la riproduzione senza rapporto sessuale; alle rimostranze di Howie, che domanda se abbiano mai sentito parlare di Gesù Cristo, il Lord fornisce l’unica risposta possibile: «quel personaggio che, se non vado errato, è nato da una vergine messa incinta da uno spirito, vero?». Il cattolicesimo quindi, dopo aver attinto a piene mani dal paganesimo, lo condanna in quanto blasfemo, altro da sé.

Com’è noto, sia la realizzazione che la produzione della pellicola ebbero genesi travagliata, costellata da numerose difficoltà. Il film fu prodotto dalla British Lion, che stava attraversando seri problemi economici e il cui capo era Peter Snell, che fu entusiasta dello script; il budget venne tenuto basso (circa 500.000 sterline) e, nonostante la storia si svolgesse nel mese di maggio, per esigenze produttive la troupe fu costretta a girare in tardo autunno, nell’arco di quattro settimane, nel 1972. Le riprese si svolsero in 25 location differenti, nessuna delle quali era un’isola, e il clima rigido procurò non poche difficoltà alla troupe, che ricorse all’utilizzo di finti alberi di plastica colmi di frutti per simulare l’ambiente primaverile. Vi fu un problema anche con la recitazione della Ekland, di natali svedesi, in quanto l’attrice non riusciva a simulare un buon accento scozzese e venne quindi doppiata dall’attrice e cantante Annie Ross, con risultati che suonano forzati. Infine, anche la realizzazione della scena finale presentò delle tribolazioni, in quanto gli abitanti della location erano convinti che sarebbero stati bruciati animali vivi; fortunatamente, Shaffer riuscì a rassicurarli sul fatto che nessun animale sarebbe stato ucciso o maltrattato, nonostante la Ekland, successivamente, dichiarò il contrario.
The Wicker Man esiste in tre differenti versioni: la Long Version – conosciuta anche come Director’s cut ed Extended version – della durata di 99 minuti (che nei credits del dvd e blu ray figurano come 102), pubblicata dalla Anchor Bay nel 2001 in un’edizione limitata con box in legno; la Short Version (o Theatrical Cut) da 87 minuti, e infine il Final Cut (o Middle Version) da 95 minuti nei credits ma dalla durata reale di 92. A semplificare la situazione ci penserà StudioCanal, che in occasione del quarantennale restaurerà nel 2013 il film pubblicando una definitiva restored version del Final Cut, da 95 minuti, in una pregevole edizione blu ray a tre dischi.
Un discorso a parte merita la magnifica colonna sonora, firmata da Paul Giovanni, e composta da canzoni folk rivisitate per l’occasione. Uno dei punti più alti della pellicola può essere ritrovato nella sequenza alla locanda, in cui vediamo lo stesso Giovanni cantare lo splendido brano Gently Johnny; proprio per la massiccia componente musicale, The Wicker Man può essere definito un musical sui generis, con sequenze di canto e danza che sono legate a doppio filo alla ritualità pagana.

In conclusione, dopo tante vicissitudini, The Wicker Man ha ottenuto lo status di culto che ha sempre meritato, vedendo finalmente la luce con quella che è considerata l’edizione maggiormente integra (almeno al momento, considerato che mancano comunque alcune sequenze, tra cui quella di un visionario sogno, assente da ogni edizione del film). Cult al di sopra della definizione di genere, resta film potentissimo e mesmerizzante, che affascina e strega: per chi non l’avesse visto, è recupero assolutamente doveroso.

Autore: Chiara Pani
Pubblicato il 30/07/2016
UK 1973
Regia: Robin Hardy
Durata: 95 minuti

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