Low Tide

di Roberto Minervini

Minervini e la sua opera seconda o del filmare l'amore che non muore, covato sotto la cenere.

Low Tide di Roberto Minervini

Trilogia texana, capitolo secondo. Bassa marea.

"... questo doloroso e confuso girovagare dove il tempo non è più quello dell’orologio, ma quello che concede la vita." Così scrive Arianna Pagliara su The Passage, il film d'esordio del regista Roberto Minervini, e così (con)segue anche l'opera seconda, Low Tide – Bassa marea: un moto errante, nel doppio senso di perdersi e  fallire, nel voler ingannare il tempo e la sua condanna. Minervini esaspera ancor di più la questione esistenziale dell'essere tempo e avere tempo, già affrontati in modo speculare con i personaggi dell'opera prima (una donna in fin di vita ha ed è il tempo che le resta e nessuna alternativa, mentre un uomo appena uscito di galera è tutto il tempo che ora di nuovo ha e nessuno scopo, per sapere che farci) ma qui si fa più minuzioso e lirico. L'essere di passaggio in questa vita, parvenze fugaci e precarie, marca anche Tony, ragazzino dalle fattezze angeliche ma dall'aura spettrale, che trascorre in solitudine le proprie giornate fuori casa e in casa silenzioso s'aggira ancor più ignorato, invisibile sotto gli occhi apparentemente estranei, quasi ostili  della madre. Di questa giovane donna nulla è dato sapere, inserviente in una casa di riposo, spurga i giorni decrepiti in notti di sesso e alcol.

Ancora una volta la macchina da presa accompagna il calvario dell'assenza e del bisogno di contatto umano, epidermico, un pedinamento che è quasi il vero (ri)prendersi cura dell'altro, questa volta insostenibile nella fragilità dell'infanzia, al punto da fare di ogni gesto spontaneo e impulsivo metafore estreme d'apatia e elemosina d'affetto: un gattino fa le fusa serrato dietro la finestra, serpenti e rane da accarezzare e da cui lasciarsi accarezzare, l'uccisione di un vitello a distanza ravvicinata, un pesce appena pescato e pugnalato. Proprio nel gioco sottaciuto con gli animaletti con cui entra in contatto si simula, consuma e sublima la sua tragedia, perchè questa è l' unica vita che sfiora. Tony è la cavalletta fuoriuscita da un barattolo che si dimena contro i vetri e forse muore fuori campo nel pugno della mano. Tony è la boccia con poca acqua dei pesciolini rossi, che vuol riempire di pioggia, magari per annegare in quella infinità di lacrime che non versa o al contrario riversarla in una piscinetta di plastica e immergendosi con i pesci lasciarsi  cullare. Tony deve ingannare il tempo che minaccia costantemente di ridurlo a cosa, ad operazione meccanica, reiterazione di azioni quotidiane, insulse eppure foriere di morte a volerla disperatamente cercare, come raccattare lenzuola e fare il bucato. Nell'indifferenza che lo attanaglia stana il calore che resta del corpo materno, prima che evapori (di nascosto condivide il cibo in scatola appena aperto; si accoccola in un letto appena rifatto). Lì a due passi è sempre il colpo (di scena, se si considera l'apparizione di una pistola) fatale, che può essere l'unico boato, sopra le grida al vento nella notte, a far finalmente deflagrare il suono sordo della parola "mamma", sempre fuori luogo, a sproposito, colpa semplice d'essere vivo, venuto al mondo plausibilmente indesiderato. In questa partitura drammaturgica essenziale, che segue il tempo del farsi da sé, dell'accadere e dell'incedere non studiati,  transitori, come per The passage liberatorio è l 'attimo cruciale, l'irrimediabile è l'ultima occasione, letteralmente l'ultima spiaggia, che non è più deriva, ma porto sicuro. Abbraccio, ancora in un imperante silenzio, che era ed è amore sotto la cenere.         

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 24/10/2018
Belgio, Italia, USA, 2012

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