Reality
Il ritorno del cinema anarchico e grottesco di Mr. Oizo, alias Quentin Dupieux

Labirinto di specchi senza autentica via di uscita, Reality sta tutto in un’inquadratura, nel primo piano di una psicologa repressa sdraiata nel letto di una camera da letto arredata in mezzo a un bosco. Tra le mani un libro dal titolo inequivocabile, Endless mirrors, epitome di un film frattale che mano a mano che procede non può che ripetere sé stesso, rinchiudendosi in una mise en abyme anarchica e divertita come un gioco per bambini. Quentin Dupieux, samurai del film intellettual-farsesco all’insegna del grottesco, torna ancora una volta a giocare con il cinema in apparenza non-sense, divertendosi e divertendo anche se questa volta l’operazione vuole essere meno comica e più paradossale. Apparentemente Reality è un ritorno al meta-cinema di Rubber lontano dal demenziale più sboccato di Wrong Cops, ma se il film dello pneumatico assassino lavorava con intelligenza sul rapporto tra immagine e osservatore, qui la dimensione è evidentemente ludica ma puramente linguistica, poche volte direttamente divertente. Vedere Reality è come rotolare nella tana del bianconiglio, l’unico modo per non farsi male è non cercare appigli per lasciarsi cadere direttamente.
Intreccio di storie più o meno connesse tra loro, Reality ad un certo punto si trasforma da racconto corale a nastro di Möbius , il cinema gira e volta faccia divenendo realtà, che a sua volta si riconnette poio alla narrativa cinematografica senza soluzione di continuità. Non c’è un vero scarto, le dimensioni apparentemente opposte si toccano come il nastro disegnato da Escher, anche se il loro incontro appare impossibile. E poi ancora, i piani si moltiplicano, le persone si sdoppiano, ogni referente perde il suo senso autonomo in un gioco capace di farsi intellettuale e allo stesso tempo di non prendersi sul serio, come ugualmente il rapporto con Lynch (ancora una volta nume tutelare di Dupieux) si fa parodia e al contempo omaggio. Reality mima un certo cinema dell’assurdo in cui colpi di scena dell’ultimo minuto reinventano e donano nuovo senso a quanto visto in precedenza. Solo che qui un vero senso non esiste, l’oggettività si perde, gettata dalla finestra come la vhs buttata nell’immondizia dalla bambina nel finale. Videocassetta trovata nelle frattaglie di un cinghiale. La bambina invece si chiama Realtà. Non poteva essere altrimenti.