Più de la vita

di Raffaella Rivi

Quattro decenni di ricerca artistica sperimentale nella parabola poetica di Michele Sambin

Più de la vita - recensione film Rivi

Un uomo, artista eclettico (pittore, musicista, performer, fondatore del TAM teatro-musica, "artigiano" delle arti visive) e il suo personalissimo black mirror. Lo schermo come specchio di brame e pulsioni nell'adoperarsi con qualsiasi dispotivo capace di riprodurre e ridefinire un inesauribile estro creativo, un rigore sperimentale che negli anni non ha mai smesso d'ardere con la medesima intensità, pur cambiando l'uomo e i suoi orizzonti. L'uomo che riflette (con) se stesso e su se stesso. Questo il caleidoscopico universo concentrato in Più de la vita, documentario prodotto da Kublai Film e firmato dalla video artista multimediale Raffaella Rivi, che abbraccia la quarantennale parabola artistica e filosofica del maestro padovano Michele Sambin, intellettuale e pionere delle tecnologie e delle arti.

Programmaticamente, l'inquadratura da subito lo ritrare nella posa simultanea (più che posizione) di guardato e spettatore insieme, arrovellato in uno sdoppiamento dialettico che attraversa e supera gli spazi fisici e mentali, amplificando la percezione del tempo memoriale e svelando una dimensione iper-linguistica che non può che eccedere i limiti relazionali della vita lineare - individuale. Un'estensione virtuale, in cui sono faccia a faccia il figlio, il Sé-opera, che ha generato il proprio padre, il Sé – Autore. Un loop concentrico, il crescendo di una spirale in cui concetti e percezioni si espandono, costituiscono il cuore della poliedrica ricerca di Sambin sul potenziale del connubio immagine-suono; una esplorazione che trova nell'audiovisivo il miglior campo sinestesico di comprensione e rifrazione. I corpi, umani, materici o astratti che siano, diventano cromatiche partiture sonore in movimento, richiamo polisensoriale a lasciarsi trasportare nelle fantasticherie dell'immaginario d'artista, lì dove il video è atto trasformante, che non fissa e eternizza l'istante, ma genera e moltiplica la visione, finalmente emancipata dall'autore.  

Da un lato le sonorità raccordano il flusso di sequenze che va dall'attualità al repertorio  (dall' l'installazione fondante "Il tempo consuma le immagini, il tempo consuma i suoni" , alla rielaborazione tarkovskijana "Il sogno di Andrej", passando per l'esperienza del Teatro – Carcere e la drammaturgia strumentale per bambini) dall'altro i commenti recitati in voice over dallo stesso Sambin, sono sia ancoraggi al presente che slanci per nuove incursioni al passato. Tracce e varchi di memorie, ogni passaggio ricompone uno dopo l'altro il percorso creativo e utopistico di un autore che, sin dalle primissime armi, persegue l'intento di rivoluzionare il mondo attraverso idee sintomatiche del contemporaneo e dei suoi congegni, artefatti o naturali. Comunicare idee o sabotare idee? Le operazioni Sambiniane decontestualizzano e destabilizzano i ragionevoli legami causa-effetto, per poter scandire un battito ancora sopito di nuove energie e prospettive ed innestare in questi nuovi solchi le radici sensibili dell'essere. Tutto senza mai scostarsi dalle proprie radici. Gran parte del racconto visivo, fatta eccezione per le riproposizioni d'archivio, si dispiega infatti tra le mura domestiche delle sue due abitazioni, la casa natale nel centro di Padova e la casa-ovile nella campagna salentina, oasi d'artista eretta a propria immagine e somiglianza, spazio d'arte da vivere (bianca, essenziale, lucente, modulabile), ulteriore specchio - quintessenza di sé.

Raffella Rivi realizza un resoconto tutt'altro che descrittivo e conclusivo, mettendo a punto (più che in-scenare) una sorta di ipertesto diaristico tutto da scoprire, in cui nulla è posto a caso, i manufatti, gli arnesi, gli sguardi e le parole nello scambio di battute con l'unica interlocustrice in campo - la compagna artistica Pierangela Allegro - diventano dei link di rimando ad un diverso approfondimento-interrogazione. E' autore anche chi guarda? Stanca più lavorare o riposare? C'è differenza tra potare un ulivo e suonare il violoncello? se risposte ci sono, sono regola di vita dello stesso protagonista: "nei luoghi in cui abito tutto deve funzionare e se funziona c'è bellezza". La bellezza che impegna tutta la vita senza sosta e fatica, come il clarinetto che sfuggente e leggiadro oscilla tra le nuvole, favoloso metronomo dei sogni.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 15/10/2019
Italia, 2019
Durata: 60 minuti

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