Les sel des larmes

di Philippe Garrel

In concorso alla Berlinale, il mondo cinematografico di Philippe Garrel torna fedele a sé stesso con un film magnifico e struggente.

Le sel des larmes - recensione film garrell

Un ragazzo vede una ragazza alla fermata del bus. In un campo-controcampo si avvicina per chiedere informazioni, si presenta, le chiede di uscire. Inizia così il film di Philippe Garrel, Le sel des larmes, in concorso alla Berlinale 2020. Un inizio limpido, che già dice tutto su quanto stiamo per vedere: il racconto non si riferisce al contemporaneo né all'intorno, ma risponde solo al “mondo Garrel”. Un universo che il cineasta ha costruito in cinquant'anni di cinema, con regole soltanto sue: qui si può conoscere una ragazza alla fermata, rivedere una ex e subito farci l'amore. Il mondo garelliano in bianco e nero si fa sempre più stilizzato e archetipico: è ancora una volta un mondo-cinema.

Il protagonista è Luc (Logann Antuofermo), giovane falegname aspirante intagliatore di ebano, e il suo movimento sentimentale. Incontra tre donne, la giovane araba Djemila, la vecchia fiamma Geneviève (una magnifica Louise Chevillotte) e l'infermiera Betsy. Il rapporto più profondo e toccante è con l'anziano padre interpretato da André Wilms, un uomo che non ha potuto studiare e quindi proietta su di lui le proprie aspirazioni. Passando all'ebano Luc forse si può innalzare, da “proletariato” può diventare “borghesia”. È un ragazzo frivolo e irresponsabile, ma forse è anche una parte di noi tutti.

«Esiste davvero il vero amore?» si chiede la voce fuori campo, che si esprime solo per frasi singole e avvolgenti. Garrel ha il coraggio di porre questa domanda oggi, nel 2020, nel suo “world apart” ostinatamente retrò. Così Luc sceglie o non sceglie per codardia, fugge la responsabilità di un figlio, intavola un triangolo alla Jean Eustache: e così il cineasta lo dipinge con la morbidezza delle sue dissolvenze, con il bianco e nero di Renato Berta e le note di piano di Jean-Louis Aubert, con i confronti sentimentali strappacuore e la sua messinscena di retroguardia. Ma attenzione: è forse mai passato il cinema? Certamente no ed è questo che Garrel ci mostra, il gesto cinematografico in sé, che si sostanzia nella magnifica scena del ballo sulle note di Fleur de ma ville dei Telephone, una danza tipica del regista - come This time tomorrow in Les amants reguliers - che i personaggi ballano fuori tempo. Appunto: il film segue un movimento tutto suo, senza concessioni all'oggi, e attraverso di esso Garrel continua a danzare. Fino allo struggente finale, che dopo molte oscillazioni sentimentali ritorna al rapporto padre-figlio: la chiusura suggerisce la vera essenza del “sale delle lacrime”, splendido titolo, indicando dove sta davvero l'elemento del pianto e del rimorso. Impossibile non pensare al rapporto tra Philippe Garrel e suo figlio Louis. Ma qui il Garrel regista è in entrambi, sia nel padre che nel figlio: unendo le due metà sembra di trovare la storia della sua vita e il senso del suo essere cineasta.

Autore: Emanuele Di Nicola
Pubblicato il 25/02/2020
Francia 2019
Durata: 100 minuti

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