Smile

di Parker Finn

La mancata elaborazione del trauma conduce dal passato a una persecuzione virale nel presente. Dolore e malattia mentale nell’horror sovrannaturale campione d’incassi.

Smile - recensione film

Il tema ancestrale della maledizione è da sempre fecondo per il genere horror, che attraverso i suoi meccanismi riesce a sviluppare processi catartici e simbolici che cercano di disinnescarne la potente carica virale e infettiva. Questo è quello che cerca di fare anche Smile, il film che il regista debuttante Parker Finn ha ampliato a partire dal suo cortometraggio del 2020, Laura hasn’t sleep, e che si inserisce in questo classico filone: la giovane psichiatra clinica Rose si ritrova a fronteggiare una misteriosa maledizione che si perpetua attraverso una catena di suicidi e la porterà presto all’alienazione sociale e famigliare. La protagonista viene infettata da una paziente che le racconta di essere perseguitata da un’entità mutaforma celata dietro al sorriso inquietante di persone conosciute, per poi suicidarsi brutalmente davanti a Rose, passandole così la maledizione.

Su questa narrazione di base, il regista costruisce una riflessione sulla malattia mentale, sulla percezione che si ha di essa e sulla solitudine e incomprensione che attanaglia chi ne soffre. Si gioca sui labili confini tra demoni reali e psicologici: lavorando su un presente infettato dalla memoria di un passato tanto doloroso quanto ingombrante e invalidante, che riesce sempre a riemergere dietro al sorriso (mai vero) di facciata, il film si innerva di suggestioni sulla percezione contemporanea della salute mentale. La vera e tangibile maledizione è qui il suicidio di una persona cara e le sue conseguenze su coloro che le sopravvivono, costretti a fare i conti con le proprie presunte responsabilità, con l’elaborazione di un lutto incomprensibile e con il disturbo post traumatico. Ed è proprio il suicidio il perno attorno al quale ruota il congegno diegetico, qui visto non solo come un’epidemia contagiosa, ma anche e soprattutto come una minaccia ereditaria che si tramanda di madre in figlia. La paura dello stigma sociale causato dalla malattia mentale è minacciosa tanto quanto lo spirito demoniaco, incombente su ogni rapporto umano fino alle estreme conseguenze.

smile recensione

Nel corso del film assistiamo a un ribaltamento di ruoli che trasforma la psichiatra in paziente, un cambio di prospettiva repentino che altera tutti gli equilibri e le relazioni. Ricorrendo a una serie di cliché, che spaziano dall’utilizzo di termini squalificanti come crazy al trauma del passato che necessita di elaborazione per disinnescarne il potere dolorifico ancora presente. Il tutto prosegue dunque su strade già battute innumerevoli volte, soprattutto dal giapponese Ring e dal suo remake hollywoodiano The Ring, e dal più recente It Follows. A differenza di questi titoli, però, Smile non riesce mai a scandagliare efficacemente gli abissi del processo rituale infettivo, toccando solo superficialmente e ingenuamente temi che meriterebbero un’analisi più penetrante. Non manca nessun luogo comune: il fidanzato solo apparentemente perfetto, la mancanza di comunicazione in momenti cruciali, l’ex ragazzo che è il solo a crederle, l’unico uomo che è riuscito a scampare alla maledizione. L’entità sovrannaturale e malvagia diventa metafora urlata di questo passato doloroso mai realmente affrontato, con il quale, ça va sans dire, Rose dovrà scendere a patti per cercare di spezzare la catena di morte. Le evidenti pecche di sceneggiatura vengono, però,  parzialmente sublimate da una regia che rispetta gli stilemi horror, soprattutto nell’ampio uso di jumpscares che tengono viva l’attenzione permettendo al film di scorrere in scioltezza e piacevolmente.

Smile è un film che svolge bene il suo compito di intrattenere, ma che, in ultima analisi, fallisce proprio in quello che dovrebbe essere il tema centrale, ovvero la cura e l’empatia nei confronti delle persone fragili affette da disturbi mentali; si sceglie di rifugiarsi confortevolmente in un immaginario già visto, non riuscendo mai davvero ad affondare nelle ferite dell’animo, optando per soluzioni facili e prevedibili. Lo stesso sorriso evocato dal titolo, elemento, questo sì, veramente perturbante, viene relegato a poche scene, non sfruttandone a pieno la carica angosciante. E sempre nella più canonica tradizione horror, non resta ora che aspettare il prevedibile sequel, nella speranza che si riesca ad agire più marcatamente sul discorso solo imbastito da questo primo, innocuo capitolo.

Autore: Gaia Fontanella
Pubblicato il 30/11/2022
USA 2022
Regia: Parker Finn
Durata: 115 minuti

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