Non è ancora domani - La pivellina

A chi si fosse recato, fino a giovedì scorso, alla sala del politecnico Fandango a Roma, sarebbe capitata l’occasione davvero rara di imbattersi in un film indipendente italiano di basso budget ma di ottima qualità, Non è ancora domani – La pivellina.

Diretto da Tizza Covi e Rainer Frimmel, La pivellina mostra la vita di alcuni artisti di strada, nella quale piomba un bel giorno una bambina di due anni di nome Asia. A trovarla nel parco è Patti (Patrizia Gerardi), eccentrica signora dai capelli rosso fuoco che si affeziona immediatamente a lei, tanto da sperare che il biglietto nel cappotto della bimba, che annuncia il ritorno di sua madre per riprendersela al più presto, non dica la verità. A nulla valgono i tentativi del suo compagno (Walter Saabel) di convincerla ad informare le autorità, e alla fine anche l’uomo, un rigido tedesco goffamente saggio, cederà alla tenerezza di questa piccola creatura che, tra la gente del circo, trova una nuova e variopinta famiglia.

Il film si caratterizza subito per la sua natura ibrida: è un documentario, ma al suo interno troviamo elementi di finzione. Ha la struttura del mockumentary e il tono della commedia, ma il suo linguaggio è incredibilmente lineare, come quello di una favola della buona notte. È in parte una storia sull’infanzia, quella spensierata e in qualche modo avventurosa di Asia, e un racconto di formazione: seguiamo infatti anche le vicende di Tairo (Tairo Caroli), il figlio del domatore di leoni, quattordicenne buono e un po’ svogliato che impara da Patti la storia d’Italia (molto a fatica) e da Walter a fare a botte. La pivellina racconta dunque la vita nella sua incredibile semplicità.

Quest’opera potrebbe ricordare in parte l’esperimento messo in atto da Gianni Di Gregorio con Pranzo di Ferragosto, dove a delle anziane signore un po’ strambe veniva chiesto di comportarsi in modo naturale davanti alle telecamere, seguendo solo un canovaccio sul quale poi tutti gli attori improvvisavano. Sembrerebbe quasi che, in un momento di scarse risorse economiche (e forse di scarse idee), il cinema italiano a basso costo si affidi alla realtà quotidiana per riportarla sul grande schermo. Se però quello che deve affascinare lo spettatore è la straordinarietà dell’ordinario, allora La pivellina centra meglio il bersaglio, rispetto all’opera di Di Gregorio, non solo per la sua atmosfera meno grottesca e più surreale, ma anche perché mette in scena una realtà sconosciuta ai più. Questi artisti di strada vivono infatti in una condizione anacronistica, tra modernità e tradizione. Sono rinchiusi in un recinto senza porte (una specie di grande villaggio abusivo), e fanno parte della città ma ne sono in qualche modo esclusi. Le loro giornate trascorrono tra animali da ammaestrare e coltelli da lanciare, baracche di fiume e gabbie di leoni. Eppure riscoprono ogni giorno i valori più importanti della vita di gruppo, dello stare insieme e del supportarsi nelle piccole e grandi cose.

Il film ha vinto il premio Label Europa Cinemas alla “Quinzaine des realizateurs” del festival di Cannes 2009.

La Covi e Frimmel avevano già realizzato un documentario sul circo nel 2006, intitolato Babooska, prodotto sempre dalla Vento film, la casa di produzione di proprietà dei due cineasti.

Autore: Tommaso Triolo
Pubblicato il 13/08/2014

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