Napolislam

Ernesto Pagano dà voce e volto alla commistione di religioni nel cuore grande di Napoli

Nel colmo della plausibilità della dissacrazione comica, in una scena di Che bella giornata (2011), Checco Zalone chiede ad alcuni uomini di lingua araba, “Ma abitate in Islam?” e questi dopo le prime grasse risate, con tono e volti fattisi d’improvviso minacciosi, replicano “L’islam non è un paese, è una fede!”. Il documentario Napolislam di Ernesto Pagano, giornalista e traduttore, premiato al Biografilm2015, pur lontano dalla fiction d’effetto studiata a tavolino, al contrario calato nel quotidiano di uomini e donne che raccontano se stessi, ripropone, con strategica provocazione, sin nel titolo quella medesima nebulosa di superficialità culturale che ammanta irrimediabilmente l’approccio interetnico su suolo italiano.

Ed ecco appunto il cortocircuito di referenti e significati, che collimano sino a snaturarsi reciprocamente: da un lato Napoli-città, luogo geografico e culla arcaica di contaminazione tra religione e superstizione, dall’altro lato l’Islam come fede, astrazione di principio prescrittivo di pratiche collettive e di disciplina spirituale individuale. Napoli Luogo – Culto (non solo in senso di crocevia multiculturale) ma parafrasando la seicentesca opera napoletana di Basile (famosa per la garroniana trasposizione cinematografica) “Culto de li culti”. Perchè ogni Napoletano ha sempre potuto scegliere il Santo più affine al proprio dolore cui votarsi; ha sempre potuto adottare un personale “cranio abbandonato”, “anima pezzentella”, che esaudisse un desiderio in cambio della cura cimiteriale; ha sempre potuto, e questo in via del tutto esclusiva rispetto a qual si voglia altro folclore, personalizzare il proprio presepio con un nuovo pastorello contemporaneo.

Anche per questo, con probabilità, l’autore non può che prediligere, a tratti giocare, con un tenore disimpegnato e benevolmente ironico nel pedinamento dei propri personaggi, nell’apprendimento disinvolto delle singole storie di conversione all’islam e loro abitudini di convivenza con la tradizione cattolica e le consuetudini laiche di maggioranza.

Se il film sovente si adagia su una curiosa falsariga, è certo per la spontaneità del trattamento narrativo, che si snoda essenzialmente come sequenza di scenette di circostanza: le beghe familiari, il chiacchiericcio dal parrucchiere o in taxi – quest’ultimo quasi citazione del cinema animato del napoletano Alessandro Rak, L’arte della felicità, in cui seppur ritratte con toni grigi e mesti, per le vie di Napoli si incrociano già scelte di fede e musica.

In Napolislam proprio la musica, quella composta dal giovane rapper protagonista, assolve al compito serio di scavare e scandagliare nell’intimo di una decisione tanto drastica, la conversione a dettami più impositivi, rispetto alla crisi della morale cattolica. L’imperativo comune delle storie - testimonianze è quello di rimarcare la libertà con cui si è scelto di abbracciare un altro credo, qualsiasi ne siano state le premesse di partenza, che vanno dal comune matrimonio misto, sino alla più bizzarra disillusione di ordine politico-sindacale, che ritrova nella fermezza del Corano il vigore e la certezza disattesi nel diritto del lavoro. Eppure tanta ricchezza di spirito acquisita con gioia, irrimediabilmente si incrina in una smorfia di rassegnazione del volto della giovane futura mamma, quando apprende di accogliere in grembo una femminuccia: tanto determinata e sbrigativa nel mostrare alla propria madre le ragioni del velo, in cuor proprio forse sperava di non doverlo insegnare ad una figlia.

La singolarità delle esperienze finisce però per scontrarsi con la cronaca che è già Storia nel momento stesso in cui accade, ovvero l’azione terrorista del fondamentalismo estremo, che strumentalizza la religione trascinando nel j’accuse dell’indistinta bolgia massmediatica l’intera comunità di fede, ovunque si dislochi. Nel caso di Napolislam si tratta degli attentati alla redazione di Charlie Hebdo, accidentalmente avvenuti durante le riprese del film, che si presta per il caso a costituire un privilegiato megafono di dissociazione.

Succede purtroppo che un film debba darsi un epilogo, mentre la realtà ritratta prosegua oltre lo schermo e sovente indifferente al contributo di riflessione sociale offerto dall’arte, anche quell’ arte che si dissimula nel reale medesimo. La strage di Parigi del 13 Novembre scorso è costato al film la sospensione preventiva dell’uscita nelle sale italiane (e solo italiane, a fronte delle contemporanee proiezioni internazionali) in programma nello stesso mese, a confermarci paradossalmente come solo nel compiuto di un microcosmo autosufficiente, come Napoli (che vuole i sottotitoli, tanto nei quartieri popolari, quanto nella moschea) la realtà di integrazione possa risultare innocua, collaterale.

Irreale, come una sorta di città invisibile calviniana.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 18/01/2016

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