Blue My Mind - Il segreto dei miei anni

di Lisa Brühlmann

Figlio di un'ibridazione tra generi sempre più presente nel cinema europeo indipendente, il film di Lisa Brühlmann si interroga sui drammi dell'adolescenza attraverso il fantastico.

Blue My Mind - recensione film bruhlmann

L’ibridazione fantastica del cinema drammatico è un abito sempre più diffuso nell’audiovisivo europeo indipendente. La miscela in provetta ottenuta dalla congiunzione di dramma e fantasy d’altronde ha molti pregi: amplifica l’attrattiva del contenuto, è utile a produrre nuove idee e a rinnovare quelle già visitate, raggiunge un pubblico virtualmente vasto e allo stesso tempo rinforza assunti cinematografici interessanti. Blue My Mind, diretto da Lisa Brühlmann, è l’ultimo caso di questa moda della narrazione transgenerica, un collage composto dalla giustapposizione di dramma adolescenziale e cinema fantastico che irrobustisce un’idea di base proprio grazie al circolo virtuoso sopra presentato. Il racconto incentrato sui cambiamenti del corpo di Mia (Luna Wedler), adolescente svizzera appena arrivata in una nuova scuola e già insidiata da numerose difficoltà sociali e psicologiche, infatti non soffre di immaginazione e non è limitato alle coordinate del teen movie; prova invece a comunicare il mutismo dei sentimenti adolescenziali mediante la grammatica di genere.

Il sillogismo costruttivo pensato da Brühlmann è figlio di un realismo psicologico semplice ma funzionale: se si può raccontare (per immagini) l’incomunicabilità adolescenziale solo mediante una rappresentazione simbolica e il fantasy è il linguaggio che non solo detiene più simboli ma anche simboli perfettamente decodificabili, allora il dramma deve essere comunicato attraverso i codici del fantastico. Il cambiamento del corpo e della psicologia è quindi il ricettacolo contenutistico di per sé molto difficile da raggiungere e comunicare limpidamente, un magma incontrollabile presente sotto l’epidermide di ognuno, e il fantasy la griglia ordinativa attraverso cui esplicitarlo. Ma quindi è il fantastico a possedere la chiave di comprensione del teen drama o è il teen drama a digerire e quindi covare il fantastico per i suoi scopi? Quando Mia, a un certo punto del film, si avventa su un pesce per mangiarlo sembra che il film reclami il fantasy non solo per possederlo ma proprio per assimilarlo e sputarlo fuori in una nuova forma.

È questa la violenta modalità con cui il film si appropria del genere per sviscerarsi in una nuova mutazione formale. Il gesto cambia tono al racconto: la descrizione della quotidianità di Mia, concentrata sul malessere sotterraneo presente nel contesto famigliare asettico, ricco, algido e sempre insistentemente trasparente, dopo la prima mezz’ora si inasprisce in una spirale discendente di abuso e insostenibile terrore che si confronta con l’assoluta incomunicabilità del sentimento postpuberale, il mistero della ragione sessuale, la mappa dell’inconscio giovanile circondato da incertezze anche (soprattutto?) nell’ambiente domestico. Per trasmettere l’incomunicabile il film abbandona la semplice osservazione delle superfici – epidermiche e di senso – e getta la sua protagonista in un’educazione sentimentale senza maestri sul proprio corpo che si verifica attraverso la continua fratturazione e rottura delle stesse superfici, l’apertura dell’ignoto prima contenuto da pochi millimetri di pelle.

Il racconto giovanile è così sventrato dall’interno da un fantastico fagocitato in partenza proprio per crepare e spezzare l’immagine del corpo. Brühlmann disvela il mistero del sentimento controllando il genere e usandolo per comporre una realtà simbolica comprensibile, che sigilla ciò che prima era nascosto in una nuova immagine, in una nuova costruzione di senso: la comprensione di sé passa per la mutazione del sé e si completa nel passaggio a nuova forma. Il finale però non si accontenta di chiudere questo ragionamento e lo riapre con l’immagine forse più sottile del film: un ritorno sotto la superficie della chiarezza razionale, verso l’ignoto di un’esistenza che non conosce razionalizzazione e trova nell’inabissarsi nella propria persona l’unica vera via d’uscita da sé. Il simbolo fantastico d’altronde oltre che svelare il significato sempre lo vela di nuovo senso: forse è questa l’intuizione più raffinata di Blue My Mind

Autore: Leonardo Strano
Pubblicato il 21/06/2019
Svizzera 2017
Durata: 97 minuti

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