Lo scontro

di Lee Sung-jin

Dopo il successo agli Oscar, A24 torna (su Netflix) con una serie che frulla assieme guerra tra sessi e lotta di classe, dark comedy e dramma generazionale. Un teorema sulla depressione ai tempi del realismo capitalista.

Lo scontro - recensione serie tv netflix lee sung jin

Danny (Steven Yeun) vive col fratello minore, è sommerso dai debiti e ha una piccola impresa edile che non decolla. Amy (Ali Wong) è sposata, ha una figlia e la sua attività sta per essere venduta a una cifra milionaria. Un battibecco al volante tra i due scatenerà una reazione a catena dalle conseguenze inimmaginabili.
È un oggetto strano, difficile da riassumere in poche parole, Lo scontro (Beef, in originale). Una serie, creata da Lee Sung-jin e diretta da Hikari e Jake Schreier, fatta di innumerevoli spunti e riflessioni, cambi di tono e svolte improvvise, lontana tanto dal prodotto medio di Netflix (che la distribuisce) quanto dal genere puro e semplice cui la A24 (che l'ha prodotta) ha da sempre saputo smarcarsi. Il risultato è così una dark comedy dall'estetica accattivante e sopra le righe che è anche un thriller e un dramma generazionale, uno spaccato tragicomico sul presente e, insieme, la disamina cinica, surreale e grottesca di un'umanità irrimediabilmente bloccata e chiusa in sé stessa.

In dieci episodi dalla durata contenuta, va così in scena la commedia amara di due solitudini che si incontrano, si scontrano e (non) si riconoscono. Un teorema sulla depressione ai tempi del realismo capitalista che mette al centro la rabbia cieca e senza sbocchi (“C'è un grido dentro di me”, è il titolo di un episodio) di due immigrati asiatici di seconda generazione (inevitabili i rimandi all'ultimo grande successo di A24, Everything Everywhere All At Once) alle prese con una vita frenetica e frustrante, con una fame – di tempo, di denaro, di affetto – impossibile da saziare. Due infelicità, due solitudini solo apparentemente antitetiche ma in realtà facce della stessa medaglia, figlie di una società che le fagocita come fossero carne da macello ("beef", appunto), senza più distinzioni tra ricchi e poveri, uomini e donne, bianchi e asiatici.

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In una storia scissa in due, dove il montaggio parallelo diventa il mezzo ideale per raccontare due esistenze speculari che si intersecano e allontanano a ripetizione, prende così lentamente forma un gioco al massacro di chirurgica precisione e grande rigore formale. Un crescendo di azioni e situazioni dalle conseguenze sempre più assurde e disastrose che prende il Fargo dei Coen e lo frulla in una contemporaneità post Parasite sempre più ipocrita, ridicola e schizofrenica. Del resto, è indubbio che Lo scontro sia (anche) un dramma generazionale. Che dietro a quei mondi fatti di bugie e segreti si nasconda il ritratto ben riconoscibile di una generazione, quella dei millennials, bloccata e mai realmente appagata, incapace di assumersi colpe e responsabilità, estremamente egoriferita e autoassolutoria, combattuta, come i due protagonisti, tra il voler mostrare chi veramente è e il volerlo nascondere. 

“Perché per noi è così difficile essere felici?”, si domanda, in un epilogo psichedelico che sa più di viaggio iniziatico che resa dei conti, Danny. È proprio la felicità, d'altronde, l'oggetto attorno a cui ruota tutto il circo tragicomico della serie. Un'idea che si fa tutt'uno con quella di un Sogno americano che ha finito per pervertirla, svuotarla di senso, ridurla a un insieme di tappe vuote, interamente spesa tra traguardi raggiunti troppo velocemente o non raggiunti affatto. Nel mondo de Lo scontro, sembra dirci la serie, non c'è differenza di classe, di sesso o di razza che tenga, perché quel vuoto non si può colmare ne col denaro, la famiglia o l'attaccamento alle proprie radici ne con l'invidia o una distorta ed egoista idea di giustizia sociale. Una società tritacarne dove l'incontro sincero tra simili, senza più maschere e meschinità, giochi di potere e ruoli sociali, non è contemplato e se avviene non può che avvenire esclusivamente all'infuori di essa e delle sue regole. Magari nel bel mezzo di una natura selvaggia, ostile eppure salvifica, unico spazio dove poter ancora scavare alle origini del proprio dolore, guardandosi finalmente negli occhi e cercando di rimettere assieme quello che, per troppo tempo, è rimasto spezzato. Una delle serie migliori dell'anno.

Autore: Mattia Caruso
Pubblicato il 02/05/2023
USA 2023
Regia: Lee Sung-jin
Durata: 1 stagione da 10 episodi

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