La spia – A Most Wanted Man
Uno dei film postumi di Philip Seymour Hoffman non trova purtroppo il regista che merita, anche se la visione regala comunque un viaggio nel passato nel genere spionistico

Whisky nel caffè e posaceneri traboccanti di sigarette, fiato corto e dita macchiate di nicotina. La spia – A Most Wanted Man è anzitutto un film di ossessioni e compulsioni, un mondo popolato da spie agganciate al loro obiettivo, intenzionate a fare di tutto per “rendere il mondo un posto migliore”. Ne è emblema Günther Bachmann, il leader di un’unità antiterroristica di Amburgo magnificamente impersonato da Philip Seymour Hoffman. Perché La spia, prima di essere un film di Anton Corbijn tratto da un romanzo di John Le Carrè, è anzitutto uno dei tre lavori postumi di Hoffman, ultimo ricordo di uno degli attori più meravigliosi degli ultimi anni. E come è accaduto quasi sempre, anche qui il suo personaggio, Bachmann, è anzitutto un corpo fisico e pesante, capace di trasudare stanchezza e ossessione, sete di riscatto. Assieme a lui altri rincorrono la loro redenzione, in una rete di strategie e desideri nascosti che non escludono il tradimento.
La spia – A Most Wanted Man è evidentemente un film d’altri tempi, un gioco di spie in cui l’azione è dosata col contagocce perché a contare sono soltanto le relazioni in divenire dei personaggi. La sua stessa storia, nonostante implichi terrorismo islamico e al-Qaeda, segue con decisione quei binari che partono dal secondo dopoguerra e attraversano tutta la Guerra Fredda, binari che la penna di Le Carrè ha contribuito in prima persona a costruire. La spia è allora un film dalla narrazione robusta e avvincente, in cui un cast molto in parte serve personaggi sfaccettati e interessanti. La grande scuola americana, sembrerebbe, ma qualcosa invece non va come deve. Il film trova sicuramente la sua strada, ma deve troppi dei suoi meriti unicamente alla storia che racconta, servita senza stile, senza sguardo. Anton Corbijn resta purtroppo un regista mediocre, troppo impersonale e privo di inventiva per avere uno sguardo unico ma allo stesso non in grado di aderire ad una dimensione neoclassica. Ne esce così un film visivamente piatto e privo di energia, che serve la storia con mestiere ma senza alcuna marcia in più.
Il rischio maggiore è allora quello di innamorarsi del libro contenuto nel film piuttosto che del film stesso, specie in un panorama hollywoodiano come quello di oggi in cui il genere spionistico tarda a ritrovare la sua strada. Piuttosto che il film in sé è allora interessante notare come se non fosse per Le Carrè e lo statuto letterario che lo segue, questo genere sarebbe pressoché assente nel cinema di oggi (al contrario del piccolo schermo, che da 24 ad Homeland ha raccontato in più forme il terrorismo contemporaneo). Non serve aver studiato storia del cinema per essere consapevoli del rapporto constante che Hollywood ha mantenuto con la realtà storica, e in particolare del filone spionistico dovuto al clima della Guerra Fredda. Con l’11 settembre e ciò che ne è seguito era allora lecito aspettarsi un genuino ritorno al genere, ma Hollywood ha preferito piuttosto narrativizzare gli aspetti più plateali ed effettistici degli anni Zero, riflettere sulla guerra e sulle sue (false) motivazioni piuttosto che sulla vita delle eminenze grigie. Ci sono state eccezioni notevoli (Syriana) ma la geopolitica mediorientale non ha trovato la sua strada nell’attuale panorama hollywoodiano, sempre più polarizzato tra pochi blockbuster enormi da un lato e produzioni più intime e indipendenti dall’altro. In questa forbice (nella quale anche gli 007 hanno passato un pessimo periodo prima di risorgere reinventandosi) l’unica formula funzionante è stata quella dei Jason Bourne, franchise che ha riportato in auge un discorso di spie ma in ottica fortemente action (e al quale non ci sono comunque stati seguiti di rilievo). Per questa serie di motivi La spia – A Most Wanted Man, così classico e privo di spettacolarizzazione, è un film che si accoglie comunque con piacere, nonostante resti la consapevolezza che con un altro regista al timone il risultato sarebbe potuto essere assai migliore.