La felicità è un sistema complesso

Gianni Zanasi torna al cinema con un film dall'ambizione sconfinata, ricco di umanità e libertà espressiva ma anche profondamente irrisolto.

Con un protagonista di mezza età alle prese con un impiego pressoché unico (legato al mondo del lavoro e non privo di aspetti controversi) e un senso di vuoto esistenziale da risolvere con una catarsi che sia assieme personale e lavorativa, La felicità è un sistema complesso poteva tranquillamente diventare l’ennesimo film indipendente americano. Magari targato Fox Searchlight, e diretto da un regista a scelta tra Alexander Payne o Jason Reitman.

Del resto quello di Gianni Zanasi è un film dall’arco narrativo estremamente classico, una storia agrodolce di redenzione personale che si nutre della bizzarria del suo protagonista e delle particolari circostanze in cui il suo lavoro lo conduce. Dalle pieghe di un’autorialità comunque tipicamente italiana, capace di bilanciare disimpegno e riflessione psicologica, sguardo al sociale e redenzione esistenziale, emerge allora un film dal respiro più internazionale del precedente Non pensarci (di cui è comunque diretta conseguenza). Tuttavia la freschezza e l’agilità di un tempo, il talento di chi riesce a dialogare con gli stilemi della commedia (all’) italiana rinverdendoli dall’interno,tutto questo appare soltanto a tratti dentro il nuovo film di Zanasi, davvero troppo irrisolto per sopravvivere delle sue pur evidenti qualità.

Ritrovando il suo attore Valerio Mastandrea (di cui riesce a svecchiare la maschera da protagonista depresso e in conflitto con la vita), Zanasi imbastisce una narrazione che sotto la sua parabola di riscatto personale nasconde l’enorme ambizione di riflettere sul capitalismo contemporaneo. La felicità è un sistema complesso si concentra soprattutto sulla possibilità forse utopica di raggiungere un modello di sviluppo economico che sia efficiente ma anche umano, capace di coltivare successi ed empatia nei confronti dei propri elementi. Per farlo Zanasi guarda all’innocenza della giovane età, alla determinazione dell’adolescenza e alla sua capacità di sognare, di immaginare soluzioni alternative, afflato di cui il film si nutre per costruire diverse scene anti-narrative virate tra il videoclip e l’astrazione metaforica.

E’ bellissimo allora trovare finalmente un film non ombelicale, una commedia amara che voglia guardare ai problemi del paese e non soltanto alle dinamiche relazionali dei singoli individui. Tuttavia quello scoperchiato da Zanasi è un vero vaso di Pandora, un nucleo tematico che una volta aperto non si può richiudere con un colpo di spugna e un finale che cerca l’effetto. La felicità è un sistema complesso si sgretola così minuto dopo minuto, si avvita attorno alle sue buone intenzioni ma da esse non riesce ad uscire, mancando della lucidità anzitutto narrativa necessaria a districarne la matassa. A dominare su tutto, purtroppo anche sul coraggio evidente, è allora un senso di mancata conclusione, di forte squilibrio in un film che vuole sì aprirsi alla libertà di un caos espressivo più autentico e diretto (e che meraviglia trovare ciò in un film italiano) ma di tale assenza di forma diventa alla fine vittima, sagoma sfocata sparita alla vista dietro il pulviscolo di una gran confusione di idee e personaggi e linee narrative.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 27/11/2015

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