Chernobyl

di Johan Renck

Denuncia, eroismo e propaganda: la miniserie di Craig Mazin e Johan Renck affronta la Storia con lo storytelling, e indaga le coordinate universali dietro il più grande disastro ambientale moderno.

Chernobyl recensione serie tv HBO Renck

Chissà la gioia di Craig Mazin, ideatore e sceneggiatore di Chernobyl, di fronte al coro di sopracciglia alzate e battutine che ha accolto l'atteso arrivo del suo magnum opus. Praticamente nessuna recensione apparsa online ha fatto a meno di rimarcare sarcasticamente il suo curriculum, ironizzando su come l'autore di copioni per Scary Movie 3 e 4 (grandissimi film peraltro) e della saga di Una notte da leoni avesse infine sentito l'urgenza esistenziale di una svolta “seria”. Come se una carriera al servizio della commedia fosse da ritenersi implicitamente inferiore alla “televisione di qualità”, un marchio di vergogna con l'approdo al dramma come unica forma di redenzione concessa. Ironia a parte, l'operazione peculiare lo è senz'altro: il Chernobyl HBO è uno dei grandi eventi televisivi dell'anno, oltre che un essenziale reminder di cosa sia capace la madre di tutte le case di produzione televisive moderne quando non ancorata agli obblighi del fan service e alle pretese di un pubblico ingestibile (leggasi Game of Thrones). Chernobyl è l'opera della vita dell'autore di Scary Movie 3, almeno a leggere i credits: quanto poi sia legittimo parlare di “autori” in un contesto ultra-strutturato e così frammentario in termini decisionali quale quello della televisione, resta un discorso ancora tutto da valutare. Chernobyl è un trionfo di scrittura e regia, ma come ogni grande opera televisiva è soprattutto un trionfo produttivo.

Riassumere Chernobyl non è cosa da farsi. Come nelle opere di David Simon (che ha endorsato entusiasta la miniserie), i singoli personaggi e le moltitudini di sottotrame e punti di vista convergono al servizio di un racconto d'insieme, atto a fornire il ritratto di qualcosa di altrimenti irrappresentabile. Una città, un periodo, o la più spaventosa catastrofe ambientale della storia dell'umanità. Qui, i punti focali del racconto sono le drammatiche operazioni condotte da tre protagonisti per contenere il disastro e individuarne le cause: il fisico nucleare Valerij Legasov (Jared Harris – uno dei più grandi attori viventi né più né meno), il generale Boris Shcherbina (Skarsgard), la scienziata Ulana Khomyuk (Watson). Attorno a loro, ruotano le storie di civili, pompieri, soldati, ricercatori, politici, e ovviamente delle istituzioni, determinate a trovare i colpevoli e negare ogni responsabilità dello Stato nella follia annunciata della corsa al nucleare.

Mazin e il regista Johan Renck (factotum televisivo con Breaking Bad e The Walking Dead in portfolio) calibrano il racconto al millimetro, dando fondo a tutti i trucchi del mestiere cinematografico. L'obbiettivo, un'autentica sfida, è articolare una panoramica multiforme e bizantina che risulti inattaccabile su tre piani: il racconto di suspense, il report scientifico divulgativo, e il film di denuncia. Una volta tanto, di film si può parlare sul serio: il formato da miniserie si presenta veramente come quello di un lungometraggio di 6 ore, pensato per l'era del binge e dello streaming, e in cui i titoli di coda a intervalli di 70 minuti servono solo a tirare il fiato prima di ripartire. Dunque, la tensione narrativa è tenuta insieme da una serie di elementi provenienti dal mondo delle sale più che da quello della tv. Attraverso la struttura a mosaico (Simon, ancora) e la ricerca ossessiva e meticolosa del dettaglio iperrealista, Chernobyl si porta a tratti quasi nel territorio di Peter Berg, e dei suoi lavoro di cronaca-action “storie vere” in coppia con Mark Wahlberg. I trick ritmici sono quelli: la scansione temporale implacabile (minuti, ore, giorni, un bollettino di guerra) e ovviamente l'utilizzo sapiente del flashback e dei tempi incrociati; non tanto subordinati a “scombinare le carte”, quanto a riportarci costantemente a rivivere, ogni volta da un nuovo punto di vista, i momenti chiave della vicenda. Quando gli errori umani o le drammatiche casualità si sarebbero rivelati tasselli di un'Apocalisse sventata.

A livello tematico, la serie sa dividersi tra il succitato modello action di Berg e il classico concetto di dramma di denuncia, mirato ad agitare le coscienze, lodare gli eroi e invocare una piuttosto generica indignazione da parte del pubblico. Il vero “obiettivo” di Chernobyl in tal senso emerge solamente nel quinto e ultimo atto del dramma. L'episodio finale rappresenta un significativo colpo di coda, in cui lo scarto di tono improvviso ci porta dal fuoco e il fumo del Disastro all'algida aula di tribunale dove un processo farsa voluto dal Cremlino si appresta a condannare i colpevoli e disconoscere ogni implicazione del Partito. E' il momento in cui Chernobyl rallenta, indottrina (con tanto di grafici e modellini), mostra le carte e lancia il suo potente j'accuse contro il pericolo della menzogna politica. I copioni di Mazin non si fanno problemi a sposare un punto di vista, come certi prodotti sono inevitabilmente chiamati a fare: la sconsiderata e conclamata follia di Anatoly Dyatlov non avrebbe avuto le conseguenze che ha avuto, se gli organi di informazione moscoviti non avessero per primi mentito sulla stabilità e la sicurezza dei propri giocattoli apocalittici. Alla resa dei conti contro le invisibili e spaventose istituzioni rosse, Legasov, Shscerbina e Khomyuk ribadiranno l'importanza della presa di posizione individuale, dell'umano nella macchina, per contrastare l'inumano di quegli apparati burocratici per cui è normale “mentire fino a dimenticarsi di farlo”. Una chiamata alle responsabilità felicemente individualista, quasi spielberghiana. C'è chi ha parlato anche di Schindler's List, e anche questo paragone è centrato: la bontà e il coraggio di piccoli grandi uomini blue collar, chiamati a rimediare alle catastrofi volute da grandi piccoli uomini white collar. Un manifesto che ci riporta alla natura più americana del prodotto. In senso positivo, ovviamente.

In senso negativo, il retroterra ideologico di Chernobyl e il suo fine sottilmente propagandistico non sono esattamente nascosti tra le righe. E se la notizia che la Russia preparerà una propria serie in risposta resta un clickbait (è in produzione da anni, e ci resterà ancora a lungo), è ancora una volta importante provare a leggere oltre il “messaggio”, e arrivare a scorgere i motori sociali dietro una produzione di largo consumo. L'insistita e appassionata requisitoria contro i malefici valori dell'URSS, a molti (persino in America, il che è tutto dire) ha fatto comprensibilmente storcere il naso. L'intera operazione, così attenta nel sottolineare l'ipocrita malvagità del regime sovietico come “peccatore originale” e primo vero nemico dei working class heroes protagonisti, si ascrive a quella robusta corrente propagandistica del mainstream americano contemporaneo che ha recentemente riscoperto il Comunismo storico come nemico da affrontare. La denuncia di Chernobyl, l'intrattenimento basso di Red Sparrow, persino il biopic innocuo di Nureyev: nell'ultimo anno, con lo spauracchio di Putin e il suo legame di potere con il Presidente USA, la Russia politica è tornata a rappresentare un mostro da temere, e un villain cinematografico plausibile. In più, in un momento in cui l'american way of life del capitalismo liberista è ai minimi storici in termini di popolarità locale, è interessante ritrovare un cinema americano che si prodighi nel ricordare ai propri cittadini quanto l'incubo del socialismo sovietico debba ancora far paura. Sotto una simile lettura, il recente afflato nello scavare tra le piaghe oscure della Guerra Fredda appare meno nobile. Ma negare l'influenza della sfera politica su quella creativa è ingenuo per definizione, e ancor di più in un'industria così strettamente connessa ai mutamenti sociali come è quella dell'intrattenimento hollywoodiano. Sia Disney o HBO, nessuna decisione apparentemente radicale è in realtà presa se non in funzione del pubblico e dei suoi bisogni percepiti. Ed è questo che le rende così significative. Se si ha la freddezza di inquadrare al loro posto le ovvie e prevedibili ideologie alla base, e ricondurle ad una precisa scala di importanza, Chernobyl appare per quello che è: un'epica sociale e individuale tra le più potenti degli ultimi anni.

Autore: Saverio Felici
Pubblicato il 21/07/2019
USA 2019
Regia: Johan Renck
Durata: 1 stagione da 5 episodi

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