The Incident - Blackout Asylum

Prima di Brawl in Cell Block 99, e prima ancora di Bone Tomahawk, la penna di Steven Craig Zahler aveva dato forma alla follia criminale

Welcome to where time stands still sembra essere l’ammonimento all’entrata della porta del Sanatorio in Welcome Home dei Metallica. Un luogo di crimini e criminali, di follia tagliente, spigolosa e acuta quanto basta a definire gli angoli aguzzi di una bocca che ride, espressione di una pazzia virale, contaminante come un sogno lucido che fuoriesce da un cervello in tempesta. Chissà se Steven Craig Zahler, già romanziere, batterista, paroliere e qui in veste di sceneggiatore, ascoltava la canzone contenuta nel terzo album – Master of Puppets - della band losangelina, mentre scriveva durante gli anni di college la sceneggiatura di The Incident – Blackout Asylum. Contando gli anni, e capendo i gusti, ci risulta molto probabile. Sceneggiatura diretta poi nel 2012 da Alexandre Courtes, un nome che torna spesso quando si osservano scorrere i titoli di coda dei videoclip di importanti band internazionali che hanno trascinato il sound, da una pista ad un’arena, tra gli anni ’90 e i primi anni 2000 come: Cassius, Phoenix, Air, Noir Desire, U2, Jamiroquai, Kasabian, solo per citarne alcuni.

E la scena musicale è il contesto sociale e culturale del gruppo di amici, nonchè band musicale garage, che tra una sessione ed un’altra, lavora alla mensa diun inquietante sanatorio criminale, e che ben presto implode nel più violento caos durante un notturno blackout. La solidità della scrittura, già ampiamente apprezzata nei suoi due film da regista (e compositore), Bone Tomahawk e Brawl in Cell Block 99, è qui rimarcata, capacità di esplorare i generi tracciando trasversali linee intercompartimentali tra l’horror, il western , la fantascienza, il prison movie; marchio di fabbrica di un autore contemporaneo che possiamo definire uno dei massimi esponenti viventi ed in attività (insieme a Jeff Vandermeer, Miéville, Evangelisti, The Duffer Brothers) del genere new weird. The Incident è un film custodia, l’unione di tempo e di luogo garantisce densità di scrittura, gli inospitali luoghi del sanatorio si tingono di sangue trasformandosi nelle pareti cellulari di un cervello-meccanismo corrotto dalla follia. Lo switch finale non si nutre di originalità - ma d’altronde cos’è davvero originale ormai? - ma funziona in quanto la narrazione fluisce sempre ben tesa e definita tanto da riuscire a conferirgli un valore essenziale al suo stesso meccanismo cinematografio, un finale che arieggia sull’accumulo di sensazioni forti restando ben lontano dalla chiusa felice e chiarificatrice. Finale funzionale al racconto, narrazione divisa in due blocchi distinti, prima del blackout e dopo il blackout, architettura tale da definisce una mente instabile in un luogo del tutto celebrale. Il casting è dei migliori, dai protagonisti (Rupert Evans su tutti) ai volti della follia rinchiusi nel sanatorio, tutte maschere di carne che riescono a trasferire allo spettatore un’insana e credibile tensione. Tra la luce e il controllo della detenzione ed il buio caotico della ragione, dopo il balckout solo il fascio esiguo di una torcia riuscirà ad esprimere l’orrore alle violenze che nei corridoi del sanatorio si andranno a consumare. Fuga dal sanatorio, fuga dal blackout, fuga da uno spazio mentale che ha perduto l’equilibrio, fuga dalla sanità e e corsa nel tunnel che porta verso la libertà, o verso la definizione clinica di uno squilibrio psichiatrico, che torna a rimarcare il vero orrore di una notte dove si è spento il lume della ragione.

The Incident è per un film che condensa la fase di crescita creativa di uno scrittore/regista, ed in attesa del remake di Puppet Master e dell’atteso Dragged Across Concrete, diretti entrambi da S. Craig Zahler, ci godiamo la visione del blackout criminale, assaporando ancora le capacità narrative del quarantacinquenne master di Miami.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 04/03/2018

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