Il giustiziere della notte

La rilettura del classico del 1974 da parte del cannibale Eli Roth si sviluppa a partire da una normalizzazione dell'originale, pur chiamando in causa alcuni aspetti oscuri del contemporaneo.

Nella Chicago dei giorni nostri, Paul Kersey è un medico chirurgo da sempre dedito al suo lavoro. Conduce un’esistenza tranquilla e felice con la moglie e la figlia adolescente, calciatrice e fresca di ammissione in un college newyorkese. Le giornate di Kersey trascorrono tra impegni medici e situazioni idilliache con familiari ed amici. A fare da sfondo è una città cupa, costantemente illuminata dalle luci al neon di ambulanze e pattuglie di polizia impegnate con numerosi crimini notturni. Ma la routine quotidiana del medico è sconvolta quando tre balordi irrompono a casa sua per fare una rapina, uccidono la moglie e feriscono gravemente la figlia, riducendola in fin di vita. L’evento richiama in Paul Kersey il forte desiderio di vendetta e lo trasforma in un mietitore unbreakable , deciso a colmare da sé i vuoti della giustizia americana.

In corrispondenza dell’incidente scatenante, c’è un passaggio che preannuncia la trasformazione de Il giustiziere della notte ed il suo rapido scarto verso binari più congeniali al suo nuovo autore, Eli Roth. Uno dei rapitori minaccia con un coltello a serramanico la figlia di Kersey ma viene prontamente richiamato da un suo sodale, che gli dice: «Ehi, il capo ha detto niente giochetti! Sei sordo? Metti via quell’affare». La carica gore e da torture porn del cinema di Roth, rimembrante la sua indole horror, viene appena accennata e posta dietro l’angolo dalle infinite tempistiche della giustizia e dalle campagne pubblicitarie in favore delle armi, che finiscono per influenzare il mite chirurgo, pronto ad entrare nell’ostello delle proprie perversioni.

Il remake (o reboot?) del film del 1974 di Michael Winner corregge il tiro di un intero filone di vendicatori emuli dell’originale, ricevendo dalla critica statunitense una pessima accoglienza. Del resto l’uscita del film è coincisa con il massacro della Stonemane Douglas High School di Parkland, collegando inevitabilmente l’opera all’elephant in the room degli USA e agli infruttuosi dibattiti sull’argomento. Tuttavia il film si dimostra consapevole dell’estremo calore della materia trattata, optando per una non scontata attualizzazione che offre ulteriori spunti di riflessione rispetto al lungometraggio del 1974. Charles Bronson richiamava il mito della frontiera e del western traslandolo nel contesto cittadino; in questa nuova versione, invece, la violenza diventa reale quando ripresa attraverso i più svariati device portatili che la innestano nel tessuto del world wide web. La modalità compositiva di Winner portava in scena una comunità cittadina sconvolta da un crescente clima di incertezza e violenza metropolitana, tensioni che nel cinema anni ’70 avevano già portato a precedenti illustri (su tutti, Il braccio violento della legge); Eli Roth costruisce una comunità mediatica di gran lunga più ampia del semplice contesto cittadino (una sorta di villaggio globale segnato dal pulp) ma anche meno caratterizzata. La semplificazione di ogni dilemma è comunque alla base di questo giustiziere, a partire dalla trasformazione dell’architetto Paul Kersey in medico (con il tessuto metaforico che questa scelta si porta dietro).

Eli Roth si è affermato, nel corso del tempo, come uno dei più fedeli scudieri di Quentin Tarantino, a sua volta ritenuto dalla critica un emblema del postmodernismo cinematografico. Nella sua critica al postmoderno, il teorico Fredric Jameson ha definito il concetto come mancanza di profondità, gusto della superficie e predilezione della piattezza. Il giustiziere della notte di Roth si trasforma (a sua insaputa?) in una superficie riflettente il dibattito americano sulle armi, a partire dalla proliferazione dell’immagine di Paul Kersey ripresa da dispositivi di controllo e videocamere di sorveglianza. Lo schermo nero (per antonomasia il black mirror riflettente del nostro secolo) ha risucchiato al suo interno una figura fantasmatica (quella del vendicatore analogico) fornendone una sua variante: quella del virus replicante ed allevato dall’attenzione mediatica. Questo remake di Roth dimostra quanto il blockbuster hollywoodiano, nonostante l’inevitabile semplificazione cui spesso va incontro, riesca comunque a fornire preziosi spunti di riflessione sulla realtà sociale e sui suoi dispositivi.

Autore: Matteo Marescalco
Pubblicato il 29/03/2018

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