Il fantasma

Primo lungometraggio del portoghese João Pedro Rodrigues, realizzato nel 2000 e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, Il fantasma è un film tutto incentrato sulla descrizione dell’universo erotico del protagonista Sergio, un giovane netturbino. La macchina da presa segue passo passo il suo girovagare in una Lisbona notturna e poco riconoscibile e i suoi incontri amorosi spesso frettolosi e casuali con altri uomini (ora in un’automobile, ora in un bagno pubblico). I dialoghi sono pochi e asciutti, il ritmo lento e dilatato. Sul piano estetico e stilistico il registro del film appare fortemente realistico (nel senso che a volte si ha quasi la sensazione di “pedinare” il protagonista) anche per la scelta di mostrare esplicitamente e reiteratamente la nudità e la sessualità; tuttavia il nucleo del discorso sta su un piano che è anche metaforico, dove eros e istintività si sovrappongono completamente nella progressiva regressione di Sergio a uno stadio di pura “animalità”.

Il pretesto, o meglio la molla che fa scattare questa sorta di metamorfosi nel protagonista è il rifiuto da parte dell’uomo che incarna l’oggetto del suo desiderio. Inappagato e frustrato da una smania tormentosa, Sergio inizia a spiare e seguire il ragazzo quasi come un animale che bracca una preda, e finisce per intrufolarsi di notte in casa sua. Nel frattempo però non mancano gli incontri occasionali (a volte brutali) con qualche sconosciuto animato dalle sue stesse pulsioni, e anche una giovane collega, attratta da lui, tenterà di sedurlo. Soggiogato dall’irruenza dei suoi istinti, il protagonista è quindi a sua volta – per coloro che lo circondano – un “oggetto” erotico; la dimensione della sessualità qui descritta è vitale ma anche violenta, fatta di veemenza e aggressività, mai pacificata. Il desiderio si tramuta in ossessione, la ricerca del piacere sembra essere il principio che guida le azioni di Sergio in maniera dispotica e totalizzante. La volontà di rappresentare il sesso senza ellissi e censure si inserisce in questo quadro, e contribuisce ad enfatizzare e rafforzare la descrizione della particolare dimensione psichica (e fisica) vissuta dal protagonista. Per questo l’insistenza della macchina da presa sul corpo di lui e la descrizione esplicita delle scene erotiche non appaiono mai morbose, né gratuite o fini a se stesse. Il punto d’arrivo del percorso irreversibile del protagonista sembra essere – dopo l’annullamento della razionalità – l’annullamento del sé, suggerito dall’atto di indossare una tuta nera di latex che lo copre integralmente, celandone il viso e trasformandolo appunto in un “fantasma” che vediamo, alla fine del film, nascondersi in una discarica. Quasi che, incapace di dominare i suoi istinti e “normalizzarsi”, non potesse trovare altro posto al mondo che tra i rifiuti del mondo stesso.

Il film di Rodrigues rivela, sotto una superficie dal sapore quasi documentaristico, un discorso preciso e ben strutturato, una lettura particolare, personale, della sfera della sessualità, indagata senza limiti e senza tabù. Tutto questo passa attraverso la costruzione attenta del personaggio di Sergio, interpretato con grande naturalezza da Ricardo Menses. La sua regressione a questo stadio “animalesco” è affidata ai suoi gesti e ai suoi atteggiamenti: lecca e annusa le persone con cui tenta un approccio, e infine urina sul letto del ragazzo che tanto desidera, come a rimarcare una volontà di possesso territoriale. E non a caso, il suo unico vero amico è appunto un animale, il cane che vive nella discarica. Seppure con qualche piccolo cedimento – il racconto forse eccessivamente disciolto e slegato – il film di João Pedro Rodrigues, a suo modo estremo e radicale, appare un esperimento riuscito e denso di fascino.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 18/02/2015

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