The Homesman
Tommy Lee Jones firma un grandissimo western capace di unire una forma neoclassica ad uno sguardo politico problematico e doloroso

God will strike you down
Tre quarti di cielo e un quarto di terra, un rapporto delle parti che è come una sezione aurea, una ripartizione spaziale perfetta all’interno della grammatica cinematografica. Un’eredità fordiana che come ogni costante che si rispetti non solo reitera sé stessa, ma si fa carico di portare con sé un bagaglio concettuale, semantico, epitome com’è di un cinema e un genere che furono.
Sono queste inquadrature spaziali a tre quarti, fotografate da un bravissimo Rodrigo Prieto, ad aprire The Homesman di Tommy Lee Jones e a dichiarare formalmente l’adesione al genere. Ma al contrario di quanto farebbe oggi un Kevin Costner, autore di uno dei migliori western neoclassici degli anni Duemila (Terra di confine – Open Range), Jones non associa alla forma neoclassica un\'adesione totale alla tradizione mitologica del west. In The Homesman la tradizionale estetica fordiana serve anzi a raccogliere i cocci di una frontiera frantumatasi sotto i colpi della pazzia, trasformatasi in un luogo da cui fuggire per cercare nuovo rifugio e salvezza.
Presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes, The Homesman è il ritorno di Tommy Lee Jones al western dopo l’atipico Le tre sepolture, e come questo è il racconto di un particolare viaggio redentivo. Al centro della vicenda la tenace pioniera Mary Bee Cuddy (Hilary Swank), che si assume il compito di riportare ad Est tre donne della sua comunità, impazzite per le avversità subite vivendo alla frontiera ma lasciate allo sbando dai rispettivi mariti, incapaci di accudirle ma non intenzionati ad assumersi le responsabilità di quel viaggio necessario. Il film di Jones è allora un western al contrario, un’epopea di ritorno in cui non c’è più la frontiera come mito dell’orizzonte, confine di una civilizzazione da spingere sempre più in là. Ad esplodere in The Homesman è la psiche di chi quel viaggio ha tentato già di compierlo, ma che dopo averne pagato il terribile prezzo non ha altra possibilità che tornare indietro. In questo senso lo sguardo di Tommy Lee Jones si fa decisamente politico, si insinua nelle pieghe della tradizione rovesciandone l’assunto, assumendo nell’azione il punto di vista dei losers. Non a caso a ricondurre le donne al sicuro sono una proprietaria terriera che nessuno vuole sposare e George Briggs (interpretato dallo stesso Jones), un vecchio impostore impossessatosi abusivamente di una delle case del villaggio. Una coppia la loro che imparerà a conoscersi, forse anche a stimarsi e desiderarsi, ma che non risulterà immune al contagio della pazzia, con conseguenze disastrose.
Quasi fosse un incubo cronenberghiano, la follia che è emersa dal terreno per infettare le tre donne si dimostra capace di estendere il proprio contagio. Del resto in certe sequenze iniziali, in cui vediamo le donne iniziare a perdersi nella loro mente, lo sguardo di Jones sfiora sottilmente l’horror, caricandosi di un’angoscia che le splendide vedute successive non riusciranno a mitigare. Inoltre sono proprio queste scene, difficili da collocare in un primo momento per scelte di montaggio non immediato, ad essere le spie più indicative di quella frattura tra il generale neoclassicismo dell’impianto formale e la vicenda narrata, un cortocircuito dal quale nasce quella generale incapacità di risoluzione dentro cui vive l’intero film.
Nonostante, come detto, The Homesman contenga i parametri di un viaggio redentivo, la sua catarsi è forse solo apparente, come suggerisce lo straordinario finale dell’imbarcazione sul fiume. All’interno dell’acqua scivola la lapide preparata da Briggs, troppo stordito dalla musica e dai suoni dell’alcol per accorgersene. The Homesman allora è un film che guarda con consapevolezza all’approccio neoclassicista ma che non rinuncia per questo a cercare un’alterità di sguardo e di posizione. Se il grande western crepuscolare degli anni Sessanta e Settanta è spesso inseparabile dalle sue innovazioni formali, Jones mantiene invece una fede cieca nelle capacità mitiche del cinema classico, sfruttandone però la mitopoiesi per accentuare il senso politico di spaesamento e frantumazione. Per questo, e molti altri motivi, The Homesman è un grandissimo film.