Homeland (3° st.)

Homeland, arrivata col vento in poppa sino alla conclusione della terza stagione, non è certamente la serie più vista della televisione contemporanea – i numeri di The Walking Deadsono inavvicinabili – né della cable television – il fandom di Game of Thrones non può certo essere replicato da una serie come questa – ma è senza alcun dubbio il prodotto televisivo più premiato degli ultimi due anni. Dopo anni di dominio incontrastato di Mad Men, che ha fatto incetta di ogni riconoscimento possibile, dagli Emmy a Golden Globe, Homeland arriva a buttare giù dal trono la serie di Metthew Weiner, prendendosi tutto, dai premi principali a quelli secondari. Se c’è una serie televisiva che negli ultimi anni è riuscita a unire critica e pubblico, questa è sicuramente Homeland, non a caso tra le preferite di Obama che più volte ha dichiarato di esserne un grande appassionato. Secondo chi scrive il successo deriva anche da un’ambiguità di fondo che la rende fruibile da qualsiasi spettatore, un prodotto non schierato politicamente, ma che incorpora alcune questioni tradizionalmente appannaggio del popolo repubblicano americano e altre di carattere maggiormente liberal, un po’ come faceva 24, che non a caso è stato un grande successo per tanti anni.

Dopo il finale in tutti i sensi esplosivo della seconda stagione, la terza arriva sugli schermi statunitensi accompagnata dalle più grandi attese possibili. La smentita delle stesse, purtroppo, è arrivata senza indugi. Già la premiere è stata molto più che una semplice avvisaglia: Brody è praticamente fuori dai giochi, Carrie e Saul (e tutte le storyline secondarie che ne derivano) devono reggere l’intera impalcatura narrativa e cosa si inventano gli autori per mettere nuova carne al fuoco? Semplice, improvvisamente Saul in diretta televisiva tradisce Carrie e le dà della malata di mente davanti a 300 milioni di persone. Da quel momento in poi la trama tocca dei livelli di rara tortuosità, fino a raccontare allo spettatore che Carrie e Saul erano d’accordo su tutto fin dall’inizio, che il suo ricovero in ospedale era parte del progetto, così come il ritorno alla follia – senza spiegare come mai però alla fine del primo episodio la bionda bipolare venga davvero tradita dal suo capo – portando lo spettatore alla fine definitiva della sospensione dell’incredulità. Come se non bastasse, il cuore della stagione è occupato per gran parte dalle vicende della famiglia Brody, con tanto di capricci dei figli, difficoltà della madre sola e soccorso dell’insopportabile nonna. Per la precisione, il picco dell’estenuazione arriva nelle puntate centrali, dove la reale protagonista inizia a diventare Dana Brody che in sequenza si taglia le vene, conosce un ragazzo per cui perde la testa, litiga con la madre, prega sul tappeto rosso del padre, inizia a odiare il genitore, si cambia il cognome per non aver mai più legami con lui e scappa di casa con un’amica di origine afroamericana mai vista prima. Insomma, non proprio la trama spionistica a cui molti si sono affezionati per due stagioni.

Dopo una prima metà di stagione vista a denti stretti, cercando di rinnovare periodicamente la fiducia a una serie che episodio dopo episodio si mostrava sempre più deludente, sopportando tutte le vicende di Dana con la speranza che queste siano messe lì per un motivo, ovvero che si rivelino poi fondamentali alla trama principale, arriva finalmente una seconda metà molto diversa. Il motivo è molto semplice: Nicholas Brody. Dopo essere apparso solo una volta nel terzo episodio, rifugiato a Caracas e novello eroinomane, l’ex marine non si vede quasi mai, fino al suo ritorno in campo, grazie al diabolico piano di Saul e Carrie. Superato rapidamente (per fortuna) l’inevitabile faccia a faccia con la figlia, Brody diventa la punta di diamante di una difficilissima operazione: entrare in Iran, uccidere Akbari e mettere al suo posto il numero 2 dei Guardiani della Rivoluzione, Javadi, ora al soldo della CIA. Nonostante la completa inverosimiglianza di tutto ciò, per due, tre episodi Homeland ritorna quello di un tempo, grazie alla ritrovata interazione tra i suoi due protagonisti al volto di Brody che torna ad essere il grimaldello adatto a veicolare la maggior parte delle questioni più urgenti della serie. Lui è l’America, in tutta la sua ambiguità, è l’incarnazione del ponte tra noi e loro, la prova autentica della tentazione verso il lato oscuro, della debolezza dell’uomo americano. Carrie, in questo gioco di ruoli, è la prova lampante di quanto l’America e di conseguenza noi spettatori, sia attratta da questa tentazione, guardi l’ambiguità, la pluralità di Brody come un superamento di certi steccati, ma al contempo come un salto nel buio verso orizzonti sconosciuti.

Sull’onda del grande entusiasmo che ha accompagnato gli episodi finali della stagione, caratterizzati da un’altissima tensione e grande crescita dell’empatia verso i personaggi principali, si arriva all’episodio conclusivo con i migliori auspici. Niente di più sbagliato. Il season finale è tra gli episodi meno riusciti di questa altalenante stagione, un tassello conclusivo che non manca certamente di coraggio, che impiega però nella direzione e nel modo sbagliati. Nella fattispecie la scelta radicale che lascerà morti e feriti tra gli appassionati della serie è quella di far morire Nicholas Brody, impiccato in pubblica piazza e sotto gli occhi di Carrie. Dopo averli fatti incontrare, averci fatto saggiare il ritorno di un amore impossibile, aver reso noto che lui sarà il padre dei figlio che lei porta in grembo, gli autori decidono di ammazzare l’ex marine, questa volta non per mano di Saul, che pur si impegna a salvarlo, ma a causa di un tradimento all’interno della CIA. Rimanendo per un attimo solamente su quest’episodio, l’errore più grande è stato quello di mostrare il momento di maggior climax a oltre venticinque minuti dalla fine. Dopo la morte di Brody arriva una posticcia pacificazione, il bozzetto di Saul fuori dalla CIA, il nuovo capo che come se nulla fosse successo trattiene Carrie e le offre un lavoro a Istanbul. La donna però sta per partorire e l’essere madre cozza fortemente con la sua attività, motivo per cui molto probabilmente finirà per affidare la creatura al padre. Tutto questo per cosa? Carrie in realtà è ancora ferita e dopo la cerimonia di festeggiamento per l’operazione andata in porto, aggiunge di notte una stellina in onore del lavoro compiuto dal suo grande amore, Nicholas Brody. É proprio il finale a dirci che nulla della prima parte di stagione è stato funzionale alla trama principale, perché non si sa più nulla di Dana né della sua famiglia e facendo cominciare la prossima stagione con i peggiori auspici. Avremmo preferito avere una stellina in meno e un personaggio in più.

Autore: Attilio Palmieri
Pubblicato il 06/10/2014

Articoli correlati

Ultimi della categoria