aKasha (The Roundup)

di Hajooj Kuka

Il dramma della guerra in Sudan si stempera tra i colori, veri ed artificiali, di una commedia africana che sa utilizzare al meglio gli espedienti del genere e le tecnologie digitali.

Akasha  - recensione film

Non è facile guardare con calviniana leggerezza ad un conflitto che riguarda la propria terra, a maggior ragione se si tratta di una guerra civile che, fatta eccezione per brevi periodi di tregua, continua ad infuriare da più di sessant’anni, dopo aver mietuto vittime e causato esodi, a milioni, tra i propri connazionali. Eppure, per tornare a Calvino, basta saper cercare e riconoscere chi, in mezzo all’inferno, inferno non è, e dargli spazio.

In Akasha, primo film in concorso della 33esima Settimana Internazionale della Critica, il regista Hajooj Kuka, quarantaduenne sudanese, fa esattamente questo. Sceglie di dare spazio a Adnan e Absi, due ribelli che alla lotta armata contro il regime di Omar Al-Bashir, alle bombe, alla paura di uccidere e morire, preferiscono le piccole gioie ordinarie della vita nel villaggio, la musica, le relazioni umane, la facoltà di determinare cosa è giusto e cosa non lo è, senza coercizioni, senza ordini, senza violenza. Non soldati o guerriglieri, dunque, ma due individui naturalmente inclini alla giovialità, vittime delle circostanze, decisi a rendere permanente la tregua dal campo di battaglia che la stagione delle piogge ciclicamente concede alle fazioni contrapposte.

Kuka lascia la guerra fuori campo, i suoi personaggi la rifiutano, rifuggono da essa, letteralmente. Per smarcarsi dalla tragedia, del resto, nulla funziona più dello spostamento, del ribaltamento, della traslazione, del mutamento di prospettiva, sguardo, pelle. Per sfuggire al pericolo e all’orrore i due protagonisti maschili di Akasha arrivano a travestirsi da donna, come nel più collaudato degli espedienti drammaturgici del genere comico, da Plauto e Terenzio a Goldoni e Marivaux, fino ai classici della commedia brillante americana (tra i tanti, Ero uno sposo di guerra e A qualcuno piace caldo). Travestimento – in questo caso sessuale – che, tra l’altro, in molte culture definite malamente, fino a qualche decennio fa, “primitive”, veniva considerato un rito fondamentale per il passaggio all’età adulta.

Alla screwball comedy potrebbe essere inoltre ricondotta anche la guerra dei sessi che si instaura tra Adnan e alcune donne del villaggio, a partire dal divertente rapporto spigoloso con Lina, la ragazza che ama e che, a suo dire, vorrebbe sposare, gelosa dei tanti flirt che lo spasimante si concede, compreso quello con il suo kalashnikov rinominato Nancy e cosparso amorevolmente di crema ogni giorno. Scoperto il plurimo amoreggiamento, le ragazze si coalizzano infatti contro di lui, smascherandone spassosamente l’infantile farfalloneria e umiliandolo ancor più di quanto non abbia già fatto autonomamente indossando i loro panni.

Oltre ad essere una riuscita commedia africana, capace di mostrare allo spettatore il lato più luminoso e mirabile del continente nero, dalla strabiliante ricchezza cromatica che caratterizza paesaggi e indumenti alla contagiosa festosità dei suoi figli più degni, Akasha è anche un film capace di osare e sperimentare nuove ibridazioni, nuovi approdi stilistici, grazie all’ausilio del digitale. In un momento di viaggio lisergico, causato dall’ingestione di un fiore psicoattivo, un vividissimo tribale viola – splendidamente artefatto, posticcio – viene sparato dalla grafica computerizzata sul volto di Adnan, che di lì a poco si ritrova a parlare con la sua corolla, anch’essa resa innaturalmente luminosa e vibrante dall’intervento del color grading. È un momento del tutto inatteso, un gesto creativo e magico, coraggioso ed estremo, che di colpo carica di afflato favolistico tutta la narrazione e rivela l’iridescente natura del suo protagonista e del suo autore. È di magie come questa che il cinema ha davvero bisogno.

Autore: Domenico Saracino
Pubblicato il 03/09/2018
Sudan, Sudafrica, Qatar, Germania 2018
Regia: Hajooj Kuka
Durata: 78

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