Beautiful Things

di Giorgio Ferrero

Un viaggio sonoro sul contrappunto animistico ed esistenziale delle cose mercificate

Giorgio Ferrero, Beautiful Things

Le cose sono, come nel classico esempio del bastone del cieco, le protesi che attraverso il corpo costituiscono la nostra mente. […] E questo dimostra sperimentalmente che il nostro Sé è fatto di cose almeno quanto è fatto di interazioni, pensieri, desideri.”  Michele Cometa - Perché le storie ci aiutano a vivere. La letteratura necessaria.

Per Cometa e per la sua disamina sull’evoluzione e costituzione della propriocezione del Sé le cose che dapprima realizziamo come utensili, e che poi acquistiamo in epoca consumistica, quindi che scegliamo di avere, rappresentano noi stessi; hanno vita, hanno un’agency, e sono portatrici di due tipologie di narrazione: narrazione della loro esistenza in quanto cose, e di una narrazione che ci riguarda, che ci autorappresenta. Giorgio Ferrero, e il dop Federico Biasin, tramite il loro sinfonico documentario Beautiful Things, ci riportano l’essenza della filiera consumistica attraverso una magistrale opera sonora che si rappresenta nel perfetto contrappunto tra uomo, merce, immagini, procedure, suono e cose. Ferrero, già compositore per il cinema insieme a Rodolfo Mongitore (Minus & Plus), parte dalla musica per definire un percorso di ideale contrappunto audiovisivo, dividendolo in quattro movimenti e micronarrazioni (Petrolio, Cargo, Metro e Cenere), in grado di raccontare il ciclo vitale degli oggetti e la narrazione di quattro personalità che lavorano nei quattro gradi della filiera. La produzione, e nascita dal Petrolio delle cose, ripresa negli spazi nei deserti texani, tra le rughe di un uomo che non vuole dimenticare il suono ascoltato da bambino, suono di ruggine e piattini percossi. Il trasporto Cargo, il muoversi delle cose nell’ordinabile economia capitalista, raccontato nei desideri di un marinaio e di un matrimonio desiderato ma reso impossibile. La scienza e la coscienza delle cose, il loro risuonare in una gabbia muta, nella camera anecoica, nelle misurazioni ordinate di un metronomo, e nei suoi ricordi incarnati di una madre e di una viola. La fine, l’oblio, il fuoco e la Cenere, la distruzione finale, negli spazi inceneriti di un termovalorizzatore, e nei fantasmi che genera nell’identità del suo esecutore materiale. Capitoli scanditi da un filmino home made che racconta la vita sociale della cosa, le relazioni che istaura con i nostri ambienti e con le nostre tempistiche di vita, un meccanismo narrativo nonché veicolo di un’affezione alla semplicità, al benessere, stessi principi e simboli con i quali Welles aveva caricato il termine “Rosebud”. «Nel finale del film volevo utilizzare come simbolo questa grande distesa di oggetti, a migliaia – e una di queste sarebbe stata Rosebud. Volevo che la macchina da presa mostrasse cose belle, brutte e anche inutili – insomma, tutto quanto può rappresentare vita privata e carriera pubblica. Volevo opere d'arte, ricordi, oggetti a cui il personaggio era sentimentalmente affezionato e cose da nulla.1» Nelle parole di Welles torna il classico esempio del bastone del cieco in precedenza richiamato da Cometa, le cose intese come protesi di un’identità che ci appartiene: cose, belle, brutte e anche inutili ma che ci rappresentano; opere d’arte, ricordi, oggetti a cui siamo affezionati. Gli stessi ricordi che diventano oggetti, nel tentativo registico, pienamente riuscito, di astrarre la materia visiva, focalizzando i ricordi delle quattro persone in immagini suscitate ed incarnate, e dandogli sostanza visiva, peso, anima, aprendo ad un’agency visionaria che giunge ad accomunare le cose ai ricordi. E se nel finale tutto brucia nella naturale parabola discendente della vita (umanamente oggettuale) dell’oggetto, nel mondo altro, nella nostra realtà, il consumismo contenuto nel centro commerciale viene violato da un’accesa danza catartica che disinnesca il senso di oblio merceologico dell’ultimo capitolo, aprendosi al movimento, all’inatteso, all’unione, al colore, alla festa e alla vitalità della relazione tra corpi, musica, suono e danza.

Beautiful Things è una scheggia sonora che folgora la superficie del cinema italiano. Un meraviglioso contrappunto di tuono sonoro e lampo visivo che illumina e scuote, per 94 intensi minuti, l’orizzonte e la visione.

 

Note

1 Dichiarazione di Welles contenuta in Filmidee, 29 Ottobre 2015 e diffusa dall'ufficio stampa della RKO il 15 gennaio 1941. Traduzione di Gabriele Gimmelli. Testo originale disponibile su wellesnet.com.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 05/05/2019
Italia, 2017
Durata: 94 minuti

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