fuoriClasse

Uno sguardo di raro interesse concreto sull' auspicato sistema scolastico integrato alle potenzialità del terzo settore culturale. Esemplarmente coordinato da ZaLab

ll film FuoriClasse, per la coregia di Stefano Collizzolli (di cui si ricorda il precedente Il Pane a vita) e Michele Aiello, nasce all’interno del progetto La prima scuola – il cinema per la scuola elementare pubblica, ideato da Andrea Segre e Francesco Bonsembiante e trova fortunata e fiera distribuzione grazie a ZaLab col sostegno della Fondazione San Zeno.

Il film racconta sei laboratori creativi, realizzati con pochi mezzi e grande dedizione in contesti sociali complessi, tramutati per l’occasione in spiragli di autonomia, cooperazione e creatività; di una educazione ai/con vecchi e nuovi media: la radio web, le video conferenze e su tutto, non a caso, una preliminare formazione al fare/maneggiare l’audiovisivo, al linguaggio di autorappresentazione cinematografica documentaria, come efficace strumento di azione e riflessione su di sé e la realtà circostante vissuta.È questo forse uno dei rari sguardi di interesse concreto sul tanto auspicato sistema scolastico integrato alle potenzialità del terzo settore culturale (enti privati, associazionismo) come emblematicamente dimostra di saper coordinare il collettivo di produzione e distribuzione Zalab.

Vi si dispiegano differenti pedagogie d’approccio, rispetto all’ormai superata esclusiva didattica frontale, per accompagnare i più piccoli a scoprire, in modo consapevole e problematizzato, soprattutto al passo con la contemporaneità, giusto appunto la propria contemporaneità ed età, in prima istanza da “spettatori creativi” e, se non più importante, da cittadini attivi ( in periferia, imparare ad essere risorse umane e trasformare la necessità in virtù) degli spazi pubblici sia fisici che intellettuali. Uno sguardo, quanto più senza filtri, sul mistero dell’infanzia, sulla sua delicatezza e inesauribile forza. Sembra semplice e retorico e non lo è in verità, se si pone mente all’articolazione congiunta di un film, che è excursus sull’Italia che è e potrebbe essere. Nelle note di regia, infatti i registi dichiarano di non aver certo voluto rimarcare le criticità istituzionali della scuola, ormai conosciute, bensì di scovare il fermento di possibilità della collaterale e vitale “rete fra educatori e animatori, fra maestri e genitori, fra le pratiche e i loro racconti nelle fatiche del presente. Un’alleanza, una comunità diffusa di fare scuola, con i bambini al centro”. Filo conduttore è la radio web con cui si cimenta una classe IV primaria della borgata romana di Montecucco. Attraverso i racconti e le interviste dei giovanissimi speaker, i loro coetanei sparsi per lo stivale apprendono e condividono realtà altrimenti ignorate, nonché fantasticherie come le pubblicità impossibili e le divertenti improvvisazioni di stacchetti musicali. In questo gli autori hanno il merito di aver valorizzato proprio una preziosa semplicità, sempre disarmante, nell’impatto umano, localizzato nello spazio e universale nel tempo. Il confronto generazionale tra infanzia e vecchiaia resta ad esempio un topos intramontabile, incolmabile e intenso in egual misura (impossibile non restare folgorati dallo scambio di battute tra la piccola intervistatrice, che chiede al suo anziano interlocutore “qual è il tuo personaggio fantastico preferito?” e questi che sicuro risponde “Claudio Villa era il mio mito”). Si apre nell’incomprensibilità reciproca dell’immaginario, una crepa che è in verità un abisso, un mondo perduto, quel è la terra di Craco Peschiera, nella campagna materana, città fantasma eternizzata macerie a causa di una frana. Cicatrice per tutti, sogno di memorie ancora per pochi.

Di immaginario in immaginario a Padova invece, è l’analisi performativa della drammaturgia tragica dell’Antigone a farla da padrona. Il conflitto tra le ragioni delle leggi e la coerenza dei sentimenti personali, viene esplorato, più che affrontato, dai piccoli alunni attraverso la trasversalità di percorsi filosofici e sensoriali (“Creonte è caffè, amaro, cattivo, forte”; “Antigone è tè alla pesca e pepe nero”) che genialmente pongono alla loro, ma non solo, portata i concetti massimi di potere, guerra, morte, nonché la rivoluzione del pensiero. “Antigone va in città” per davvero. Più che encomiabile, la responsabilità di insegnanti che spronano sin dall’infanzia alla vivibilità e all’appropriazione degli spazi comuni urbani secondo libertà e non elitarismo: siamo in strada e in piazza e non in teatro, oltre l’impostazione d’esibizione, quando i bambini coinvolgono i passanti nell’ascolto partecipato. Così come esaustivo è l’epilogo, l’invito esteso a tutto il quartiere romano ad assistere fisicamente, riuniti insieme, alla messa in scena e in onda della trasmissione radiofonica. Un invito al valore antico dell’ascolto, che non può perdersi nella mutazione tecnologica individualizzata e alienante. Ma quanto è inestimabile, scoprire che da qualche parte si cerca di insegnare persino l’etica d’uso dei mezzi di comunicazione social, piuttosto che lasciarsene fagocitare, persi negli interessi del mercato globale?.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 22/01/2017

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