Monrovia, Indiana

di Frederick Wiseman

Frederick Wiseman abbandona per un attimo l'indagine etnografica delle grandi strutture sociali per guardare ad una piccola comunità rurale del Midwest, ma la purezza del suo sguardo resta intatta e sempre commovente.

Monrovia, Indiana - recensione film

Dalle grandi istituzioni pubbliche ai campi coltivati della corn belt, dalle complesse architetture sociali di scuole, ospedali, gallerie d’arte e biblioteche alla semplicità della vita nel Midwest americano. Siamo in Monrovia, Indiana, mille abitanti in cinque chilometri quadrati di territorio, una piccola comunità agricola come decine di migliaia di altre negli Stati Uniti, ripresa e scoperta da Frederick Wiseman attraverso volti, negozi, piccoli gesti e abitudini quotidiane. Vite inquadrate tra l’azzurro del cielo che apre il racconto e il marrone scuro della terra smossa di fresco, ultima traccia della toccante cerimonia funebre posta a chiusura del film.

Rispetto a molti lavori girati da Wiseman, veri e propri studi etnografici di strutture socioculturali, Monrovia è un film animato da forze e curiosità diverse, meno attento alle pratiche politiche ed economiche del suo soggetto di partenza ma interessato piuttosto ai suoi abitanti, al loro aspetto, al loro rapporto con lo spazio. A memoria solo National Gallery è costellato da un numero altrettanto ampio di primi piani, ma se il film dedicato alla galleria inglese incastra i suoi volti in una triangolazione di sguardi dal sapore quasi teorico (noi spettatori che guardiamo un pubblico spettatore a sua volta di un’opera d’arte), in Monrovia a farla da padrone è la curiosità antropologica ma quasi infantile di Wiseman, la sete degli occhi di chi è semplicemente e continuamente affamato delle forme del mondo. Per questo Monrovia deluderà chi si aspetta un’indagine approfondita dell’altra America, quel cuore rurale ancorato alla tradizione puritana che oggi vive la sua ora dorata nell’era di Trump.

Monrovia nasce ovviamente dall’urgenza di comprendere le realtà più nascoste e isolate degli Stati Uniti, infinite sacche di resistenza protette da un muro di anacronismo e isolamento, ma quest’intento non si rovescia mai nel didascalismo indagatore di chi cerca l’origine di un problema, la causa prima di un fenomeno impossibile da ignorare. Di certo questa dinamica esiste – e vittorie come quella di Trump o della Brexit ne testimoniano la forza, l’urgenza – ma muoversi a partire da quest’intento avrebbe significato per Wiseman approcciare l’isolamento religioso e rurale di Monrovia con un intento laboratoriale, verticale. Se invece c’è qualcosa che garantisce la coerenza del “metodo Wiseman” è proprio l’orizzontalità dello sguardo, la capacità di questo straordinario cineasta di perdersi nelle realtà attraversate come uno straniero in terra straniera, sempre attento alla portata dei fenomeni osservati ma anche genuino scopritore dell’alterità, dell’ignoto.
Si potrebbe definire il cinema di Wiseman come un infinito percorso di formazione, un bildungsroman che via via va a coincidere con il percorso di una vita intera, dedicata film dopo film, anno dopo anno, alla scoperta dell’umano e delle sue strutture. Per questo motivo Monrovia dedica tanto del suo spazio alla quotidianità dei cittadini ripresi, dei quali si inquadra la forte guida religiosa senza affrontare apertamente argomenti confessionali o politici.

Rispetto all’analisi sociale di In Jackson Height, il quartiere newyorchese indagato nell’insieme delle sue tensioni razziali e identitarie, qui Wiseman lavora più indirettamente, inquadrando le caratteristiche sociali del luogo all’interno di una sinfonia che alterna i campi lunghi degli infiniti spazi agricoli ai primi piani dettagliati dei clienti di un barbiere, il silenzio delle lapidi che compongono il cimitero cittadino ai corpi quotidiani dei clienti di supermercati e negozi di liquori, studenti del liceo e medici di una clinica veterinaria. Sono gli infiniti dettagli di un mondo in miniatura, diviso tra spinte espansionistiche ed agorafobia, come ben testimonia la seduta comunale dedicata alle nuove case in costruzione e ai timori suscitati da questa prospettiva.

Come si diceva Monrovia è un posto di appena mille persone, una sacca isolata in cui la vita prosegue lungo binari sicuri, affidabili, garantiti dalla fede religiosa e dal piccolo numero di abitanti. Qui possiamo ritrovare le fondamenta seriali della società americana, negozi d’armi e chiese battiste, case che affondano nel verde e vengono tramandate per generazioni accanto a supermercati dai banconi colmi di prodotti globalizzati e universali, senza tuttavia che l’insieme di questi elementi vada a comporre un teorema, una ricerca preimpostata. È solo un altro piccolo tassello di mondo, scoperto da un regista straordinario di quasi novant’anni e gli occhi affamati di un bambino.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 05/09/2018
USA 2018
Durata: 143 minuti

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