The Innocents

di Eskil Vogt

Il male e l'infanzia, un incontro già visto da cui nasce un film decisamente riuscito, che ribadisce il ruolo fondamentale dell’ignoto e dell’irrazionale per raccontare il mondo.

innocents

Va bene, l’argomento non è certo nuovo: dal classico Il villaggio dei dannati ai più recenti Them, Eden Lake e The Children, passando per il cult Ma come si può uccidere un bambino? e il kinghiano Grano rosso sangue, il genere si è sempre confrontato con il mondo dell’infanzia e con il contrasto – talvolta nerissimo – tra il candore dei suoi protagonisti e l’orrore delle loro gesta. Un leitmotiv sempreverde, soprattutto quando a venir meno è la spiegazione razionale che si cela dietro a un bambino che uccide: specchio della crudeltà del mondo adulto, certamente, ma anche sguardo abissale sull’ignoto, destinato a rimanere senza una risposta ai tanti perché che lo accompagnano. E se quindi è vero che The Innocents, in fin dei conti, non dice nulla di inedito su un tema già ampiamente trattato dal cinema (e dalla letteratura), non per questo il flm di Eskil Vogt si dimostra meno efficace nella messa in scena di un turbamento silenzioso che striscia davanti agli occhi di tutti, passando inosservato.

Come nel Cronenberg di Il demone sotto la pelle, il teatro è un super-condominio che si estende a perdita d’occhio: meno tecnologico e all’avanguardia di quanto sarebbe lecito aspettarsi visti i tempi, ma comunque non luogo ideale per una vicenda dai toni asettici e glaciali ambientata in una Norvegia sui generis e geograficamente indefinita. C’è qualcosa, o forse qualcuno, che possiede le anime dei giovani protagonisti, offrendogli la capacità di spostare oggetti con il pensiero e di comunicare telepaticamente tra loro; più che una maledizione, all’inizio sembra quasi un dono che si tinge di fiabesco, per cancellare le distanze – geografiche e mentali - tra queste giovani vite che devono lottare quotidianamente contro il pregiudizio dato dalle differenze: di estrazione sociale, di etnia e persino di condizioni fisiche (una di loro è autistica). Ma le suggestioni supereroistiche da prequel di un X-Men qualsiasi hanno vita breve e, nel mezzo di questa estate nordica dove la luce del sole non lascia mai totalmente spazio alla notte, la morte comincia a dilagare: l’amicizia dei piccoli si trasforma in sopraffazione e in lotta per la sopravvivenza, e a farne le spese sono tutti, adulti e bambini, indistintamente.

Vogt non spiega nulla sull’origine o sull’identità del male ma, semplicemente, si limita a registrarne gli effetti: i grandi - sopravvissuti o meno alla furia omicida che ha investito il vicinato - non sapranno mai cosa è successo, accentuando così i contorni di una tragedia resa ancora più insostenibile dal contrasto tra la sua dimensione orrorifica e le tonalità asettiche dei luoghi. Memorabile in questo senso la resa dei conti finale tra i due protagonisti, un vortice di sguardi e di silenzi in campo e controcampo in mezzo alla folla di un parco giochi, senza che nessuno si accorga di nulla: impossibile non pensare alla sequenza dell’omicidio di John Saxon in Tenebre di Dario Argento, in cui la collocazione en plein air rinnegava qualsiasi presunzione di sicurezza per mettere in scena un universo al cui interno le regole non sarebbero mai più state le stesse. E l’inquadratura finale, capace di  rimettere tutto nuovamente in discussione, è la chiusura coerente di un film che, in tempi dove tutto deve essere necessariamente spiegato allo spettatore per filo e per segno, ribadisce il ruolo fondamentale dell’ignoto e dell’irrazionale per raccontare il mondo. Meno male.

Autore: Giacomo Calzoni
Pubblicato il 23/01/2022
Norvegia 2021
Regia: Eskil Vogt
Durata: 117 minuti

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