Dove osano i giganti: Godzilla Minus One
Un'epopea apocalittica lunga settant'anni tra cinema e serialità.
"Poche immagini esprimono bene il Giappone del dopoguerra come Godzilla, che è quasi una bomba atomica che cammina" - Go Nagai (2007)
L'epopea apocalittica di Godzilla iniziata settant'anni fa a largo dell'Atollo Bikini, dopo il tragico incidente nucleare che coinvolse l'equipaggio del peschereccio Daigo Fukuryū Maru, oggi sembra lungi dall'essersi conclusa, come testimonia il recente Godzilla Minus One: un dramma a sfondo bellico, spietato e coinvolgente, che ripercorre da vicino gli eventi che condurranno alla nascita della leggenda di Godzilla, privilegiando la dimensione umana della vicenda laddove altre trasposizioni hanno preferito esaltare quella spettacolare dell'azione fine a se stessa. Questo intenso monster movie, scritto e diretto dal talentuoso Takashi Yamazaki, un autore già molto apprezzato in patria, rappresenta l'occasione ideale per celebrare ed esaminare le ragioni del successo di un franchise che con trentasette pellicole all'attivo, tra alti e bassi, non ha mai smesso di alimentare l'entusiasmo degli appassionati e dei neofiti dell' iconica saga dedicata al "Re dei Mostri", ideato da Tomoyuki Tanaka e immortalato al cinema nell'indimenticabile cult di Ishirō Honda del 1954.
Nell'arco del suo lungo percorso di destrutturazione e contaminazione del linguaggio cinematografico, suddiviso convenzionalmente dai giapponesi in quattro ere ben distinte (Showa, Heisei, Millenium e Reiwa), Gojira, nell'idioma nipponico, non ha mutato semplicemente la sua indole e la sua fisionomia, captando le trasformazioni delle istanze sociali e culturali del momento, ma ha cambiato radicalmente i connotati dell'intero settore dell'intrattenimento - dalle tecnologie al marketing - grazie alla sua capacità di coniugare il passato con il presente, l'analogico con il digitale, la tradizione con l'innovazione. Da un lato il capostipite del genere kaijū-eiga, ovvero film sui mostri giganti, ha contribuito a plasmare con la sua antologia di pellicole la moderna concezione di serialità preconizzando, sdoganando e canonizzando alcuni concetti chiave dei blockbuster seriali, in particolar modo degli attuali cinecomics, come quelli di continuity, crossover e multiverso; dall'altro ha costituito un tassello fondamentale nell'evoluzione dei modelli di narrazione transmediale, anticipandone soluzioni e formule produttive particolarmente efficaci per affrontare le sfide della contemporaneità. Basta considerare la recente operazione del MonsterVerse: l'ambizioso progetto hollywoodiano, promosso dalla storica casa di produzione giapponese Toho in collaborazione con l'americana Legendary Pictures, che vede i personaggi più celebri del franchise proiettati all'interno di un universo condiviso, espanso su più piattaforme, dove i luoghi, le situazioni e le tematiche presenti nei diversi capitoli si intersecano in una trama più ampia composta da film (Godzilla vs Kong), fumetti, serie animate e live-action interconnessi tra di loro (Monarch: Legacy of Monsters).
Se le produzioni americane hanno sempre avuto il difetto di provare a ingabbiare il camaleontismo della saga di Godzilla all'interno di schemi prestabiliti per facilitarne la comprensione e la spettacolarizzazione, quelle nipponiche, al contrario, né hanno sempre esaltato la vena anarchica e anticonformista. Tanto è vero che nei lungometraggi autoctoni non esiste un solo Godzilla ma tante interpretazioni dello stesso concetto e dello stesso personaggio, declinate in modalità differenti, a seconda della sensibilità autoriale dei registi che hanno avuto il compito di tramandarne il mito, sebbene non sempre con i risultati sperati. Adottando questo criterio possiamo affermare che la versione proposta da Takashi Yamazaki nel suo Godzilla Minus One sembra possedere tutti i requisiti necessari per essere annoverata non solo come una delle più introspettive ed evocative dell'intero franchise ma anche tra le più affascinanti e rappresentative del nuovo corso cinematografico inaugurato dal blasonato Shin Godzilla nel 2016.
Nonostante le differenze sostanziali di approccio al corpus narrativo originale, entrambe le pellicole veicolano un messaggio politico inequivocabile. Infatti, nel caustico reboot firmato da Shinji Higuchi e Hideaki Anno il ruggito di Godzilla assomiglia a un grido di disprezzo, quasi di scherno, di fronte all'inettitudine delle istituzioni giapponesi, incapaci di gestire le conseguenze di una catastrofe che ricorda da vicino il caso di Fukushima; mentre quello della creatura di Yamazaki assume il valore di un lugubre ammonimento contro l'ipotesi, ventilata dai governi conservatori, riguardo una possibile militarizzazione del "Paese del Sol Levante" dopo anni di pacifismo. Un'eventualità drammatica che, seppur lontana, richiama inevitabilmente alla mente il ricordo doloroso dei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki, un topos ricorrente in tutte le incarnazioni di Godzilla dagli albori fino ai giorni nostri.
È proprio a partire da questa vivida reminiscenza che l'autore di Godzilla Minus One decide di tornare indietro nel tempo per omaggiare il film di Honda da cui si è originata la saga e ripartire da zero, anzi da meno uno, per citare il titolo della pellicola. Yamazaki racconta lucidamente dal punto di vista inedito di un disertore - l'ex pilota kamikaze Koichi Shikishima - le conseguenze disastrose della politica imperialista giapponese durante la seconda guerra mondiale e le ripercussioni che queste ultime hanno esercitato nel dopoguerra sulla società civile sia sul piano materiale, sia su quello spirituale. Il resoconto drammatico di quel periodo, popolato di fantasmi e permeato di sconforto, ci presenta uno scenario atroce che non lesina nulla sulla disperazione delle vittime, né eclissa sulla responsabilità dei colpevoli, attingendo direttamente alle radici antimilitariste sui cui si fonda storicamente la saga. Ogni aspetto della storia viene curato meticolosamente nei minimi dettagli: dalla ricostruzione delle ambientazioni e degli umori dell'epoca agli effetti speciali digitali utilizzati durante le battaglie, mentre la trama mescola registri narrativi differenti alternando momenti più intimisti a momenti di puro intrattenimento che in termini di pathos ed epicità non temono confronti con le migliori produzioni occidentali. Per quanto riguarda la resa visiva di Godzilla invece il film di Yamazaki si ispira dichiaratamente al cinema di Spielberg che emerge, in particolar modo, ogni volta che l'azione si sposta dalla terraferma sull'oceano, e ci rammenta con nuovi occhi come le inquadrature del maestro americano siano ancora in grado di fare scuola quando si tratta di tradurre la tensione sullo schermo.
Forte di un cast di interpreti eterogeneo e straordinariamente coeso, con cui è impossibile non empatizzare, Yamazaki preferisce ridimensionare l'attenzione rivolta generalmente alle imprese distruttive del titano radioattivo - centellinando le sue apparizioni - per elaborare i traumi individuali e sviluppare le ragioni collettive che condurranno i suoi protagonisti, un nucleo di sopravvissuti, ad affrontare i loro i demoni interiori e a prevalere sugli orrori del conflitto appena trascorso e su quelli che verranno. Godzilla Minus One trasgredisce le regole e le convenzioni del genere sui mostri giganti per mettere in scena, in tutta la sua magnificenza, un viaggio spaventoso e irresistibile attraverso le grandi dicotomie che albergano nell'animo umano, trasformando una storia personale di vendetta e redenzione in un'odissea corale dai risvolti melvilliani dove Godzilla, con le sue proporzioni mastodontiche e il suo sguardo impietoso sulla Storia, trascende la sua natura fisica per tramutarsi in "un incubo uscito dal magma indistinto della memoria" di un popolo orgoglioso e tormentato. Un popolo, quello giapponese, che da settant'anni a questa parte ha eletto all'unanimità "Il Re dei Mostri" come simbolo della lotta contro ogni avversità.