Dossier Joe Dante / 5 - Master of Puppets

Un giro sulla giostra dei pupazzi del marionettista Joe Dante. Una corsa in un carnevale sfrenato di mostri in sala, oltre lo schermo, al di là della quarta parete.

Ogni mondo fantastico è governato dalle sue creature fantastiche. Se una macchina a tutti segreta incredibilmente ci miniaturizzasse come il tenente Tuck Pedlenton (Salto nel buio), diventando talmente piccoli da poter entrare in quella tana oscura che coincide con l’orecchio destro di Joe Dante, quello che vedremmo al suo interno sarebbe un carnevale sfrenato di pupazzi assetati ed affamati che si rincorrono l’un l’altro in un putrido locale, mentre sullo schermo cinematografico proiettano Nascita di una nazione. Se si sostiene, come Goya, che il sonno della ragione genera mostri, in questo caso l’intelletto cannibale, l’ingegno sfrenato e la fantasia immaginifica di Dante genera il caos tra i mostri. Sono in molti che risiedono tra la corteccia celebrale del regista, pronti ad essere protagonisti di qualche sua storia. Il suo amore per le mostruosità cinematografiche anni ’50, dal mostro della laguna a Frankenstein, dagli ultracorpi alla cosa dell’altro mondo (mostruosità queste derivanti non tanto dall’orrore puro, come poteva accadere venti anni prima che l’orrore vero della guerra le soppiantasse ma dalla minaccia e dalla tensione della Guerra fredda), ben si adatta al suo modo protestatario e satirico di fare cinema. Il mostro è un portatore perfetto di paure ed incubi sociali e storici attraverso cui poter veicolare messaggi di critica societaria implicita o dichiarata. Dante conosce la possibilità di fare uscire dal suo calderone celebrale pupazzi che prenderanno vita e carica contestatoria, tendendo a moltiplicarli al primo bagno d’acqua.

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A cominciare dai piranha, primo esempio nella filmografia del regista di adozione di un pupazzo meccanico, espediente nato dalla scia di Lo Squalo (che lo precede di tre anni) per poter sfruttare il terrore sul pelo dell’acqua. Dante crea dei mostricciattoli dentosi che si muovono velocemente sotto la superficie del fiume, mostrandoceli il meno possibile (per limitazioni di budget), rendendo insicuri anche i posti più quotidiani, riuscendo a disseminare il terrore nella sicurezza dello status quo. La folla di bagnanti e la folla di americani del parco giochi sul lago (organizzato dall’attore feticcio di Dante, Dick Miller) rappresentano la massa americana certa della sicurezza nel loro Paese, incapaci di vedere il mostruoso che germina e si diffonde sotto il pelo della società. Caratteristica fondamentale questa per creare un b-movie stile Corman: pochi soldi, poco tempo, troupe ristretta, un buon soggetto, tanto amore per il cinema e per la tensione nel cinema = risultato perfetto. Il suono della quantità dei piranha diventa il carattere distintivo del terrore (così come accadeva per la colonna sonora del film di Spielberg) e le gambe diventano i succulenti pasti di queste bestiacce geneticamente modificate. All’inizio del film, all’interno del laboratorio sopra la montagna, la giornalista Maggie Mackeown (Heather Menzies) e l’alcolizzato Paul Grogan (Bradford Dillman) trovano in un barattolo un mostriciattolo raffigurante un minuscolo Godzilla. Il rappresentante evoluto di un piranha geneticamente pupazzesco.

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Dalla stessa fantasia nascono i pupazzi di Explorers,due giovani alieni che vengono sgridati dal grande papà alieno perché gli hanno rubato l’astronave disubbidendo ad un suo volere. Come giovani sono i tre protagonisti (River Phoenix, Ethan Hawk, Bobby Fite) di cui rispecchiano l’età e la volonta di fuggire da un mondo adulto che reprime la fantasia con l’abbondanza dell’immagine via cavo, che non ammette nient’altro che un’umanità lobotomizzata davanti alla televisione. O tuttalpiù, mostrandoci una giovinezza sotto attacco, dove una guerra tra giocattoli (tra eterni aggressivi vincenti ed eterni pacifici perdenti – Commando Elite e Gorgonauti) si combatte nella realtà, pupazzi animati e resi vivi da un microchip di tattica militare impiantato in loro da una multinazionale senza scrupoli. Ed ecco che entrano in gioco le diversità sociali e storiche, il giocattolo diventa simbolo di un rapporto di eterna lotta manicheista, dove il pacifismo viene controbilanciato dall’oppressione, dalla fuga nel nascondiglio più vicino per sopravvivere o dal viaggio di ritorno verso la propria terra. Nel relazionarsi con il pupazzo, Joe Dante non si limita a rappresentarlo nella sua unica realtà di giocattolo statico, in quanto simbolo immobile dell’immaginario d’appartenenza, ma lo inserisce all’interno di un movimento in avanti, definendolo fattore di un’equazione narrativa. Equazione composta da una situazione iniziale statica, destabilizzata da un imprevisto (magico), che spinge alla partenza in viaggio degli eroi e degli antagonisti che si affrontano, per poi ritornare ad una nuova staticità, meccanismo questo che origina l’avanzamento narrativo di Small Soldiers e di molta fiabistica novecentesca.

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Il pupazzo per Dante è anche oggetto vivo moltiplicabile, è mostruosità e dolcezza, è creatura orrorifica elettrica, è Gremlin. Esserino questo, storicamente riconducibile a degli spiritelli che, durante la Seconda guerra mondiale, gustavano gli aereoplani della Royal Air Force producendo danni meccanici. Sembrerebbe un essere perfetto per la fantasia di Dante. I Gremlins di Dante sono esseri tanto dolci (o meglio, diventati dolci per una revisione alla sceneggiatura di Columbus da parte di Spielberg, inizialmente molto più splatter) quanto aggressivi e paurosi. Il cinema fantastico tinge di horror un natale dickensoniano e i gremlins son pronti a moltiplicarsi. Esseri che possiedono come segno zodiacale l’elettricità (Ciuffo Bianco nel primo film addirittura ci morirà elettrificato) con la quale riescono ad interferire e guastare (In Gremlins – La nuova stirpe, uno di loro diventa una scarica elettrica venendo assorbito dal sistema elettrico). Sono mostriciattoli televisivi che viaggiano tra gli impulsi del tubo catodico americano, esseri a cui mostrare orgogliosamente la televisione, esseri pericolosi se interviene l’acqua ad interferire con la loro scarica adrenalinica. Pupazzi generazionali, i gremlins, ripresi da Dante in una seconda occasione (Gremlins – La nuova stirpe) che li trasforma in funzione cinematografica, in parodia di loro stessi, sganciandoli dalla correttezza di una narrazione classica più spielbergiana e lasciando che invadano anarchicamente il mondo del cinema. In questo caso, i gremlins diventano mezzo attraverso il quale trasmettere l’amore per tutto il cinema passato, ma anche mezzo metacinematografico con il quale rompere (per alcuni) l’inviolabile quarta parete e lasciare che, strappando il telo bianco, invadano la sala. Invasione determinata anche da un cinema che definiremo totale, un cinema oltre lo schermo, ludico e spaventoso, reale quanto una mostruosità in sala, come l’uomo formica di Matinee. E pensare che la prima apparizione di un gremlin risale ad un fumetto della Walt Disney che aveva acquisito un racconto di Roald Dahl del 1942 (The Gremlins) per farne dapprima un fumetto Disney e poi essere animato ed inserito come personaggio nelle Merrie Melodies dalla Warner Bros.

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Ed è qui che per la prima volta un gremlin combatte con Bugs Bunny, ed è qui che due universi preesistenti entrano in collisione con alcuni puppets tipici del cinema di Dante. È doveroso in questa sede definire l’ossessione che Dante ha per il coniglio bianco. Prototipo tipo del successo senza merito, del vincente per eccellenza, del bello e bianco, il white rabbit nel cinema di Dante si ripresenta in diverse forme. La rivincita dello sfigato papero nero lo costringerà ad essere vittima di qualsiasi personale vendetta. Si presenta nella sua forma animale come cavia nella quale fare scendere la navicella di Explorers, prima che questa entri nella gamba di un giovane commesso. È un’apparizione costante in quasi ogni film del regista, sia trasmesso via cavo nella moltitudine di schermi diegetici, sia come peluches (forma più legata al merchandising) tra i banchi di pupazzi nel negozio di giocattoli nei Gremlins.

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L’antica magia del coniglio bianco dal cilindro lo trasformerà in un orrorifico incubo infernale in un episodio di The Twilight Zone – The movie (Prigionieri di Anthony) finché non tornerà lui, il Bugs Bunny che tutti conosciamo, che si intrufola nell’avventura di Duffy Duck in Looney Tunes – Back in Action. Ed è proprio in quest’ultimo film che meglio si identifica l’amore sconfinato di Dante per tutto il mondo Looney Tunes, per i suoi personaggi ben caratterizzati, per il loro semplice modo di raccontare una storia universale attraverso l’uso dell’azione, attraverso quel cinetico movimento di vincenti e perdenti che genera la risata grassa, d’istinto e di pancia, la stessa azione che caratterizzerà molto il ritmo del suo cinema. Questo film è importante anche per definire un’ulteriore evoluzione dei suoi pupazzi. Nel paragonare Looney Tunes a Prigionieri di Anthony ci accorgiamo che il mondo dei cartoni animati ha incluso un’ulteriore variante: la possibilità di includere l’elemento umano. Il pupazzo non è più la creatura generata da un altromondo che cammina e vive nella realtà, ma ha capito come invertire il processo, definendo in un contesto totalmente cartoonesco lo spettatore. Sarà Anthony a costringere Ethel a vivere all’interno dei cartoni trasmessi alla televisione, divorandone la fisicità dentro un mondo colorato e famelico, così come saranno i protagonisti di Looney Tunes a vivere l’avventura in un mondo sottomesso alle regole del cartoons. Stessa sorte anche per l’anziano smanettatore televisivo risucchiato dalla TV ed in preda ad un vortice di zapping in un segmento del film corale Donne amazzoni sulla luna. Con questi propositi, la quarta parete ormai non esiste neanche più, avendo perso il senso di barriera e limite, i due mondi ormai collidono, i pupazzi hanno invaso il nostro mondo e noi siamo entrati nei loro schermi. Ed ecco che gli scienziati impupazzati dalla macchina miniaturizzatrice combattono dai sedili posteriori in una sequenza di Salto nel buio (Innerspace) dichiarando che siamo diventati come loro, anche noi, uomini della stessa dimensione dei pupazzi, alla stregua di gestibili marionette.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 09/11/2014

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