Dossier Joe Dante / 15 - Looney Tunes: Back in Action
Un viaggio nell'universo dei Looney Tunes firmato Joe Dante

Looney Tunes: Back in Action è un’opera frammentata. Ai fini di una lettura esaustiva, va piuttosto osservata nei dettagli che la costituiscono: nell’universo di immagini, gag, riferimenti e citazioni che l’autore sapientemente costruisce. Coerente con un’idea di cinema che ne incarna, allo stesso tempo, i pregi e i difetti, il rocambolesco ritorno dei Looney Tunes sul grande schermo si configura come un mosaico divertente seppur sfilacciato, il cui senso va ricercato proprio nell’assenza di linearità che lo caratterizza.
Dispiegandosi attraverso una trama diradata e piacevolmente surreale, il film si apre con la scena in cui Daffy Duck è licenziato dagli studi della Warner Bros. Considerato null’altro che l’accessoria controparte del divo Bugs Bunny, il papero viene mandato via da una gelida Kate Houghton (Jenna Elfman). L’addetto alla sicurezza DJ Drake (Brendan Fraser) è incaricato di cacciarlo, ma Daffy fugge tra le scenografie degli studios fin nella casa di DJ, figlio di una celebre star hollywoodiana, Damien Drake (Timothy Dalton). Nell’arco di pochi minuti l’insolita coppia scopre il rapimento del padre di DJ, il quale ha brillantemente celato la sua identità di spia interpretando al cinema il ruolo di un famosissimo agente segreto. Daffy e DJ partono così per Las Vegas alla ricerca di Damien, seguiti da Kate e Bugs Bunny, incaricati di riportare Daffy alla Warner.
Ha così inizio una simpatica catena di avventure, costellata da una carrellata di personaggi tra cui la lunatica (looney) Mother, interpretata da Joan Cusack. La sgangherata compagnia si farà carico di portare a termine la missione di Damien Drake, ovvero di recuperare un diamante, la Scimmia Blu, dal misterioso potere di trasformare le persone in primati. I cattivissimi della ACME, di cui fanno parte tutti i noti antagonisti del mondo dei Looney Tunes tra cui Willi E. Coyote, Yosemite Sam, Taz e Marvin il marziano, hanno il malvagio intento di generare un’umanità di scimmie che lavori nelle sue fabbriche, per poi tramutarla nuovamente in individui pronti ad acquistare i beni da loro stessi prodotti.
Le tracce raccolte durante il percorso narrativo porteranno i protagonisti a Parigi. All’interno del Louvre si articola una delle sequenze più convincenti della pellicola, in cui Daffy e Bugs, inseguiti da Taddeo, fuggono all’interno di diverse opere d’arte. Inseriti in un determinato stile di pittura, i protagonisti vi si fondono acquisendone le caratteristiche. Trovandosi in mezzo agli orologio dissolti di Salvador Dalì, ad esempio, essi si sciolgono lentamente, rallentando e dilatando i movimenti.
La sequenza ambientata all’interno dei quadri esemplifica quella che si configura come riflessione fondamentale legata al film. L’intento dell’autore, infatti, sembra non tanto quello di giocare sull’integrazione tra cartoon e live action, emulando il ben più riuscito Chi ha incastrato Roger Rabbit? o riproponendo il lavoro già svolto con Space Jam, quanto piuttosto partire da alcune suggestioni del film di Zemeckis per analizzare l’essenza stessa degli esseri animati che popolano la sua opera. Composte da linee e colori, le illustrazioni hanno alle spalle un passato ben definito: la storia dell’arte, appunto. Si riconoscono nelle sue opere, interagendo con esse grazie alle proprietà plastiche che le caratterizzano, alla stregua degli esseri umani che ritrovano le loro origini nelle vicende di chi li ha preceduti, attraverso un meccanismo di empatia. Così, se i buchi neri di Chi ha incastrato Roger Rabbit? permettevano l’accesso sia ai cartoni che agli umani, Dante sceglie di separare più nettamente i due mondi fisici (Daffy può infatti percorrere la strada disegnata, mentre DJ infrange la tela), tracciando così i contorni, straordinariamente coerenti, di un’evoluzione del disegno, dal suo essere meramente composto di elementi grafici, al suo potersi muovere grazie all’animazione e al suo, in ultimo, poter interagire e comunicare con una dimensione di esseri in carne ed ossa. Lo sguardo alle origini è marcato ulteriormente dai tanti riferimenti rivolti a uno dei padri dei Looney Tunes, Chuck Jones, morto l’anno prima della realizzazione del film.
La coesistenza dei due mondi, inoltre, non rimanda al mero contrapporre un mondo reale a un mondo fantastico. Gli innumerevoli richiami alla produzione cinematografica fanno infatti emergere un’ulteriore antitesi: da un lato la creatività strutturata, mediata e mirata dell’industria del cinema, dall’altro la creatività libera, pura e priva di logica rappresentata emblematicamente dai Looney Tunes. In un continuo ribaltamento, e attraverso un brillante gioco di rappresentazioni, la mancanza di coerenza narrativa appare improvvisamente carica di senso configurando Looney Tunes: Back in Action come un omaggio a quello che i personaggi Warner devono aver rappresentato per il bambino Joe Dante. L’autore ha infatti scelto di delinearli così come li aveva conosciuti, riproponendoli come frutto incontaminato della fantasia nonché come meravigliosi catalizzatori di sogni, inserendo sottotesti che sprigionano significato malgrado le logiche produttive evidentemente presenti nel film.