Cymbeline
Il redivivo Almereyda torna a violentare un’altra tragedia del Bardo: tra iPod, selfie e teste mozzate, realizza un'insostenibile summa di trash involontario.

Era difficile fare peggio di Hamlet 2000: in quella trasposizione contemporanea della più celebre tragedia di William Shakespeare, Amleto recitava “Essere o non essere” all’interno di un blockbuster. Eppure, non contento, Michael Almereyda ci riprova, in un secondo faccia a faccia con il Bardo, con tanto di pistole, iPod, skateboard e teste mozzate. Ma nella vacua spirale in cui annega, Cymbeline riesce anche a regalarci la sequenza (s)cult degli ultimi anni dove, per rimanere nello spirito del tempo, fa scattare un selfie allo spaesato Ethan Hawke. Almereyda ci consegna un’opera talmente inguardabile da diventare patetica summa del trash involontario. L’effetto prodotto, infatti, più che straniante si rivela ridicolo: le parole del Cimbelino di William Shakespeare sono appiccicate alle bocche dei poveri attori, nella facile convinzione che basti prendere i dialoghi del Bardo e inserirli in uno scenario attuale per reinterpretare la tragedia in chiave contemporanea. L’ambizioso regista riesce nella miracolosa operazione di rendere goffo e improbabile perfino un mal capitato Ed Harris vestito Armani. Il grande vecchio interpreta proprio Cimbelino, re di Britannia divenuto negli anni zero il temuto boss di una gang criminale. I suoi figli vivono da tempo con i ribelli e uno di loro, autentico rivoluzionario, indossa perfino la maglietta del Che. Nella demenziale galleria di personaggi spicca ovviamente Posthumus, ragazzetto uscito dagli anni ’90 con un’insana passione per gli skate e uno schiavo latino-americano. C’è tutto questo e molto altro in Cymbeline, comprese le generosità gratuite donate da una Milla Jovovich sorprendente nella sua inutilità.
Ma se l’operazione è già imbarazzante sulla carta, la messa in scena riesce a scivolare ancora più in basso. In questa fiera del cattivo gusto passano in rassegna le peggiori tendenze del cinema contemporaneo: dalle tremende didascalie rosse che aprono il film ai ralenti mostruosi che scatenano orride pantomime pop, dai movimenti di macchina gratuiti, privi di qualsiasi idea di sguardo, alla colonna sonora che mixa tutto in un epico pastiche dell’inconsistenza. Cymbeline è l’orrida assuefazione visiva di un regista che non sa dove andare: appare fuori luogo qualsiasi discorso sulla patina luccicante dell’immagine. Dov’è allora che ci troviamo?
Nelle derive trash di un postmodernismo d’antan, Cymbeline è il figlio illegittimo di una tendenza al riciclo e al pastiche ormai abusatissima. Le parole svuotate di Shakespeare rimbalzano sugli schermi Mac mentre il volto di Obama ci ricorda che siamo nel 2014. Non si ha nemmeno il coraggio di far degenerare il film nei territori grezzi dell’action-movie più becero e, per paradosso, Cymbeline si rivela addirittura timido nelle soluzioni di regia. Il piattume precede il trash, mentre Almereyda si adagia su un cattivo gusto ammiccante, con derive teen perfino zuccherose. Povero Shakespeare, poveri noi (della serie: continuiamo così, facciamoci del male )