C.T.P. Come ti parlo

Viaggio tra le aule del centro territoriale permanente di Genova, alla scoperta della "leggerezza che non è superficialità, ma planare dall'alto sulle cose"

C.T.P. Come ti parlo .

C.T.P. starebbe per Centro Territoriale Permanente, ovvero l’ente pubblico di scolarizzazione e formazione per adulti, anziani, stranieri, disoccupati, che vogliano conseguire titoli di studio o qualifiche settoriali. Quello ritratto nel film dal regista etnografo Alessandro Diaco, in tutta la sua complessità multiculturale e generazionale, è il C.T.P. Di Genova e Bolzaneto. Il titolo dunque ne reinventa l’acronimo, che volge in Come Ti Parlo, a suggeririre come tutto nella vita possa essere riscrittura e re-visione di prospettive, personali(zzabili) e soprattutto relazionali, a partire dalle competenze linguistiche, da quelle capacità antropologiche che contraddistinguono l’umana specie, vigile e non vegetante, e da cui sole possono generarsi i contesti culturali che ci rendono personalità differenti, comunicanti e condivisibili, animi intellettuali in movimento, anelanti, lungimiranti, iniziatori di sogni, artefici del futuro.

I protagonisti, studenti differenti per età, nazionalità, motivazione, impiego, hanno sceneggiato e interpretato, il proprio presente, già maturo alla luce del passato e ancora potenziale in vista del domani, ammantandolo, forse programmaticamente, di una certa rara leggerezza, che non ci aspettiamo subito di scovare dentro storie di antiche separazioni da radici e affetti, storie di necessità e coraggio, resistenza al pregiudizio e alla morsa burocratica. Perchè di tali storie, non siamo forse mai stati chiamati ed educati a superare i confini dell’approdo di fortuna nella palude dell’emergenza anacronisticamente sempre inattesa e imprevedibile. Ancora troppo pochi i titoli non finzionali, che svelino l’esemplarità di comunità straniere ben integrate col territorio, di seconde generazioni di cultura e lingua quasi esclusivamente italiana con carriere o posizioni di riguardo in settori d’eccellenza o potere. Ad ogni modo, che si parta fortunatamente dai banchi di scuola, rincuora e al contempo però richiama alla mente il precedente cinematografico di La mia classe (2013) di Daniele Gaglianone, dove la realtà cruda e crudele irrompeva nella ricostruzione realistica degli ambienti scolastici di inserimento e recupero, per sbattere in faccia allo spetattore tutti i limiti e le parvenze delle migliori intenzioni solidali e di inclusione civica e sociale, persino di contravvenenza alle norme. Ecco, C.T.P. ne è il perfetto contraltare, è l’azzardo di dar voce, quanto meno nel taglio laboratoriale, alla calviniana "Leggerezza che non è superficialità, ma è planare sulle cose dall’alto", dall’alto di pensieri incondizionati, persino di fantasticherie, affidati alla luce, agli alberi, alle nuvole, transiti traslati degli arcobaleni e delle burrasche della vita. La scuola (di cui in verità ben poco è ripreso in termini strettamente didattici, se non necessari alla stesura del racconto, come le righe di fogli scritti a mano, calligrafie rivelatrici) è culla di rinascita e costruzione infinita di sè, ma è una scuola invisibile nell’agenda dei media e pertanto nell’opinione pubblica; è la scuola crogiolo etnico, incontro d’umanità che nonostante una vita di sacrifici ancora vuole farsi largo nel mondo e vuole farlo secondo diritto, democrazia, valori di principio, che non reggerebbero dinanzi alla forza dell’animo umile sotto il macigno di un Abc elementare. Eppure il miracolo sociolinguistico, che C.T.P. vuole mostrare nel suo giro di parole non può ancora darsi senza interlocutori privilegiati. A presidiare le aule sono insegnanti, che non affrontano alla cieca e di petto l’auditorio, ma in ciascuno cercano di instillare la consapevolezza della conquista, della lotta storica per l’istruzione garantita, quanto mai per i lavoratori. Insegnanti che a loro volta cercano di trovare spazio nella sedicente Buona Scuola, chiamata a dover costantemente riformulare il proprio modo di rivolgersi al futuro, di cui ha la prima responsabilità formativa. "Come ti parlo" nella società globalizzata e virtuale di YouTube, che dispensa competenze pratiche, fluide a prescindere dal gap digitale di partenza? Chi giunge quasi analfabeta sin dal paese d’origine e chi nel paese di origine è già laureato, chi ha nel ballo di strada o nella musica il miglior approccio all’altro, chi invece proprio nel silenzio ritrova il contatto col mondo, chi già professionista è costretto ad un ingente esborso per vedere riconosciuta la propria professionalità. Il custode di origini siciliane, osserva il ricambio di chi siede ora tra i medesimi banchi di scuola e nella sua perplessità pensa "le responsabilità delle donne sono sempre maggiori!". Su quale piano emotivo potranno incontrarsi, tutti quanti? Forse nell’autenticità di una pagina di diario, affidata a chi dovrà farne racconto corale, rispettando la sacralità di ogni virgola e di ogni errore grammaticale in tutto il proprio portato esistenziale.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 02/10/2017

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