Cannes 2013 / Bling Ring

Tocca a Sofia Coppola inaugurare la sezione Un certain renard con il suo Bling Ring, ispirato a fatti realmente accaduti là dove le alte palme di Beverly Hills scuotono le loro piccole teste coronate. Anzi, siamo più in alto ancora, sulle colline di Hollywood tra le ville dei divi in bilico sulla cresta delle rocce, dove vive gente come Paris Hilton, che ha prestato la sua casa per le riprese del film. Una banda di ragazzine di “buona famiglia” si diletta a svaligiare le ville dei loro miti, a bivaccare nei salotti delle star, a provare gli abiti Chanel, i gioielli, i Rolex, a infilarsi scarpe leopardate con tacco smisurato, a rubare mazzette di dollari e a sniffare coca. Hanno sedici anni e l’idea che non ci sia niente di male a divertirsi così, visto che i genitori, più che assenti, sono troppo presenti con i loro modelli di riferimento, soldi, new age, preghiere del mattino e totale indifferenza per il mondo. Sofia Coppola, dopo il Leone d’Oro Somewhere, torna ai personaggi anestetizzati, quelli che non sentono niente e vivono “fuori da sé” nel riflesso dei reality, banalmente disumani, come le teenager losangelinee portate alle cronache da Vanity Fair. Delinquenti delicate, felici di finire in tv anche se in veste di imputate, accanto ai volti delle loro eccellenti vittime. Generazione Facebook e Twitter, gli strumenti usati per localizzare gli appartamenti di star in vacanza e fare baldoria. “Un film in forma di avvertimento”, dice Coppola, che mostrerà l’unico maschio del gruppo, amante anche lui di calzature chic, in tuta arancione, stile Guantanamo, e incatenato a rudi ergastolani. Il minorenne americano se tocca la roba non sua finisce così. Quattro anni di carcere ai capibanda, e risarcimento di migliaia di dollari.

La regista dai tempi estatici questa volta preme sul ritmo sincopato e rincorre Spring Breakers di Harmony Korine in un rutilante “documentario” pop, dove si susseguono rapine in villa e corse in macchina sotto il ronzio degli elicotteri vigilantes di Los Angeles. Tutte attrici esordienti tranne la maghetta di Harry Potter, Emma Watson, che avrebbe meritato, almeno lei, un personaggio prismatico, perché tutte loro sono “nature”, lontane dallo sguardo di Sofia, che non vuol giudicare, sostiene, ma nemmeno amare le sue piccole furie.

Autore: Mariuccia Ciotta
Pubblicato il 20/01/2015

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