Cadenas

Vincitore del “Premio Solinas 2009 – Documentario per il cinema”, e già proiettato in più di mezza Italia, Cadenas, di Francesca Balbo, torna finalmente anche nella capitale nostrana, in occasione del Contest organizzato nel mese di Ottobre dal Nuovo Cinema Aquila. Questo documentario, dal titolo vernacolare, si prende il compito di mostrarci una particolare realtà lavorativa tutta Sarda, e anche tutta femminile; quella delle guarda-barriere. Questo mestiere, che sembra come sospeso nel tempo, ha come protagonisti fondamentali quattro elementi; le lavoratrici, la barriera, la ferrovia, e la natura. Il compito del guarda-barriere infatti, è quello di custodire e sorvegliare i pericolosi passaggi a livello di una particolare tratta ferroviaria Sarda, che incrocia i suoi binari con le lingue d’asfalto delle strade statali. Affascinata quindi dalla natura secolare, e, come dire, analogica, di questo antico mestiere, la regista impernia la sua ricerca in un lavoro di sottrazione, volto all’esaltazione del quotidiano, del gesto, mantenendo la macchina da presa il più possibile scevra di virtuosismi, e ponendosi invece al servizio dell’essenziale.

Già dalla prima scena è possibile percepire chiaramente questa natura “contemplativa” dell’opera; per quasi due minuti infatti, girati in un piano sequenza privo di commento fuori campo, ci vengono mostrati quei gesti semplici e ripetitivi, che rappresentano il bagaglio pratico di una guarda-barriere, che col suo lento incedere ci illustra, senza lunghe e verbose spiegazioni, il suo mestiere. Un mestiere che, all’atto pratico, consiste essenzialmente in un unico, semplicissimo, eppure altrettanto importante gesto; quello di agganciare e sganciare ripetitivamente, quasi all’infinito, quella semplice catena d’acciaio che, per qualche istante, rappresenta una barriera invalicabile tra strada e ferrovia. Il documentario si snoda quindi tra i numerosi incroci sorvegliati umanamente dalle guarda-barriere, alternandosi tra panoramiche paesaggistiche e rurali, e testimonianze ed interviste delle dirette interessate e non, secondo una linea di immagini che potrebbe, per assonanza, far piacere al regista ceco, Jirì Menzel. Certo, a definirlo in questo modo, Cadenas potrebbe essere visto come nient’altro che una serie di noiose carrellate di paesaggi, treni, e donne di mezza età che si alternano a fiume davanti a una macchina da presa quasi immobile, ma è invece proprio questa scelta, quella della contemplazione, la forza, nonché il trait d’union, dell’opera tutta. E questo perché solo contemplando le guarda-barriere, che per gran parte del tempo devono letteralmente attendere da sole in luoghi più o meno isolati, si può restituire con maggior realismo la vera natura di questo lavoro.

Ovviamente, a causa della totale assenza di interviste esplicite, domande registrate, o commenti da parte della regista, il documentario corre effettivamente il rischio di risultare in alcuni episodi “scarno”, troppo panoramico, e tuttavia la Balbo decide di correre questo pericolo, rimanendo fedele all’immagine, e alla sua iniziale scelta estetica. In questo modo sull’immagine grava non solamente l’onere simbolico e visivo, ma anche la responsabilità del documentario tutto, che deve tentare di spiegarsi da sé, senza l’ausilio di interventi esterni. Questa scelta però, potrebbe comportare in un certo senso un altro rischio, che è quello della difficile comprensione e della mancanza, a fine opera, di stimoli verso nuove domande, interrogativi o argomenti che siano utili per sviluppare critiche posteriori e costruttive. Tuttavia, possiamo dire che questo rischio viene in un certo senso aggirato, poiché dal suo incipit la Balbo ci avverte di star compiendo un lavoro di pura cronaca, e di non essere protesa quindi verso qualcosa che si trovi oltre il film, al contrario la sua risposta, il suo messaggio, è tutto contenuto proprio nelle immagini riprese. D’atro canto è per questo motivo che spesso il centro del documentario sembra deviare, o meglio mimetizzarsi, nella natura sarda, e nelle aperte immagini della sua flora e fauna. A volte, infatti, sembra quasi che il vero protagonista dell’opera non sia il lavoro delle guarda-barriere quanto invece il silenzio; il silenzio della natura che le circonda. Un silenzio ovattato, lontano dalle città, dal traffico metropolitano, in cui l’unico suono pare quasi essere, solamente, quello delle lunghe catene che strisciano sull’asfalto; le catene/barriera, che rappresentano lo strumento delle operose custodi, e che danno il titolo al film; Cadenas infatti, in dialetto sardo, non significa altro che: catene.

Ma come abbiamo sottolineato in precedenza, Cadenas non si sofferma solamente nell’illustrazione di questo mestiere, ma vaga spesso invece alla ricerca di immagini che, pur essenziali, sono permeate di senso e rimandi metaforici; un esempio su tutti è quello che riguarda la sequenza finale, interamente dedicata alla ripresa di un vecchio treno che, fischiando, corre via perdendosi nella campagna. La sequenza di questa “fuga” ferroviaria è priva di montaggio, di commento, il tutto viene ripreso con semplicità, e la sensazione che proviamo è come di osservare la scena dal finestrino di un’auto in corsa. Il montaggio, interviene solo alla fine, per veicolare l’inquadratura di chiusura; L’emblematica e metaforica immagine di un passaggio a livello automatico, che abbassa autonomamente l’asta per permettere al treno di passare in tutta tranquillità; che il mestiere del guarda-barriere sia destinato a scomparire? Questa domanda non trova risposta nel documentario, ma rimane un interrogativo, forse l’unico, aperto verso il futuro; certo forse alla fine della visione non ce ne andremo con un bagaglio di informazioni contestuali approfondite, ma senza dubbio porteremo con noi una nuova realtà, e bel carico di immagini, il che, trattandosi comunque di cinema, non è certo poca cosa.

Autore: Giacomo De Vecchis
Pubblicato il 22/08/2014

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