Bella e perduta

Giocando con l'archetipo della favola, Marcello riscatta la neo-mitologia cinematografica della "Bellezza" artistico- esistenziale preda della barbarie culturale

Bella e perduta, il verso allegorico per eccellenza di un atavico (rim)pianto - e poi Risorgimento – si fa titolo programmatico e reinvenzione nell’ultimo lavoro del regista casertano Pietro Marcello.

Un’opera preziosa, pura meraviglia, caso esemplare di un quid autoriale radicato al presente e alla sua memoria poietica, che fortunatamente per noi continua a rivelarsi.

A disarmare ed inchiodare alla coscienza collettiva è il fascino archetipico della favola, che concede all’animale il pensiero morale e la parola, calata in una dimensione simbolica, realista e sgraziata, a rievocare li cunti di Basile (che in fondo siamo sempre ai piedi del Vesuvio, nel crogiolo di tradizioni popolari, superstizioni e santi personali!)

È infatti il bufalotto Sarchiapone, cui presta la voce Elio Germano, a porci la soggettiva narrante principale, molto più di quanto fu dato fare al Balthazar di Bresson.

L’ultima delle bestie inutili, condannata dalla civiltà contadina al macello perché maschio improduttivo di latte, non solo non tace delle scelleratezze umane, ma per di più raggira il destino di morte, miracolato dall’ultima volontà del suo padrone Tommaso passato a miglior vita e disceso al limbo dei Pulcinella. Qui la celebre maschera della tradizione non è il servo sciocco impenitente della commedia dell’arte, perché, come vuole l’arcaica accezione etrusca, seppur villana e oziosa s’ammanta di valore: figura intermediaria tra i vivi e i morti, custodisce il dialogo perpetuo con tutti i regni della natura, affinché questa non soccomba sotto la sregolatezza umana.

Nella realtà della cronaca, l’agricoltore Tommaso Castrone muore di infarto la notte di Natale del 2013.

Tale coincidenza solleva latente lo spunto per una traslazione quasi cristologica, sacrificale ed espiatoria di Sarchiapone, che, lasciato solo al mondo, sarà rimesso all’accoglienza di pastore in pastore, testimoni umili e volubili del suo passaggio terreno.

Nella realtà della cronaca, Tommaso Castrone ha vissuto come “L’Angelo della reggia di Carditello”, Real Sito settecentesco del casertano. Un partigiano, l’ Angelo Custode - mai sostantivo e aggettivo si potranno compenetrare meglio come in questo caso - che accettò la missione di ripulire, vigilare e difendere persino contro le minacce della Camorra l’animus loci d’arte e nobiltà della reggia borbonica di Carditello, edificio magnificente col tempo caduto in stato di abbandono e degrado, finendo per divenire oggetto di saccheggio e speculazione politica nel cuore della ribattezzata “terra dei fuochi”.

Lì dove la malavita s’è fatta malattia e la natura germoglia veleno, la figura di Sarchiapone, quintessenza dell’umiliazione terrena, scovato da Tommaso proprio nel cuore della reggia e nella medesima inesorabile sorte di abusi e soprusi, non può che essergli apparso, e apparirci, l’incarnazione equivalente di quella pietra inerme, affatto inscalfibile e oltraggiata (che La strada di Fellini non ha forse sancito ai vertici della poesia cinematografica la necessità insondabile persino di un sasso?).

Ecco allora l’occasione del gesto transitivo di salvezza. Si riversa sul bufalotto l’impresa estrema e immane di voler redimere dall’indifferenza la Storia che anche un rudere preserva in sé: può eccedere la vita di un singolo uomo e nella sua essenzialità ascendere al mito e riuscire in un agreste microcosmo a farsi icona di quella inestimabile, blasonata bellezza in pericolo, tanto decantata altrove. Come quella già sorrentiniana, che contempla impassibile la decadenza del proprio edonismo, tutto fuorché placida e fiera; o quella addormentata di Bellocchio, che arranca nel tormento, perché non tanto smarrita, quanto violentata nella dignità. E intanto che un auspicabile epilogo si palesa all’orizzonte nell’acquisizione della reggia da parte dello Stato a patrimonio culturale, la favola drammaturgica riequilibra il realismo magico dominante, ribaltando le sorti di Sarchiapone e del Pulcinella suo garante, perché lo traduca in redenzione. La redenzione passerà da Sarchiapone, ma non sarà di Sarchiapone.

Nel sogno fantasticato da Marcello ben maggiore e inaspettato sarà il miracolo scatenato dall’umile fatica di Tommaso Castrone: il rifiuto definitivo della maschera, alibi ancestrale d’ignoranza, in favore della scoperta del volto fatto di carne e sangue, anima fuori dal canovaccio scurrile, slancio d’amor gentile di chi, pur misero di mezzi (si) consacra cura e misericordia per il miserabile. Opera e virtù di rara bellezza, forse non irrimediabilmente perduta.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 16/05/2016

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